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Videosorveglianza: è lecito il controllo difensivo anche in assenza di accordo

23 Aprile 2021

La Corte di Cassazione, sezione penale, con sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021, è tornata ancora una volta ad esprimersi sul tema del controllo a distanza dei lavoratori, con particolare attenzione alla mancanza dell’accordo sindacale in caso di impianti tesi a perseguire il comportamento infedele dei dipendenti.

Come noto, l’installazione nel luogo di lavoro di un sistema di videosorveglianza mediante telecamere (c.d. controllo a distanza), laddove attuata in difetto di assenso sindacale ovvero di provvedimento autorizzativo da parte della DTL, è sempre stato considerato reato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 38 della l. n. 300/70 (anche a seguito delle modifiche apportate dall’art. 23 d.lgs. n. 151/15).

Il sistema sanzionatorio in parola ha da sempre avuto particolare riguardo non tanto alla concreta lesione del bene tutelato, consistente nell’effettività del controllo, quanto piuttosto alla mera potenzialità dissuasoria delle riprese a distanza dell’attività lavorativa, essendo determinante anche il solo timore, ingenerato nel lavoratore, di essere sottoposto a videosorveglianza (cfr. Cass. pen. n. 4331/2014).

Tuttavia, tale impostazione garantista era stata già parzialmente edulcorata dalla Circolare n. 5/2018 dell’Ispettorato del Lavoro (inerente alla corretta utilizzazione dei sistemi di videosorveglianza sui luoghi di lavoro) secondo cui, tra le finalità proprie che legittimano la richiesta di autorizzazione al controllo a distanza dei lavoratori sono espressamente ricomprese le esigenze di sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale.

D’altronde, l’oggetto del preventivo accordo con le OO.SS., o della valutazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro, non è finalizzato ad una valutazione tecnica dei dispositivi, bensì ad una valutazione delle motivazioni che ne giustificano e legittimano l’utilizzo, nonché della correlazione tra tali motivazioni e lo strumento da utilizzare.

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha sottolineato infatti il necessario bilanciamento tra i diritti fondamentali della persona e il libero esercizio dell’attività imprenditoriale, che comporta l’esclusione della configurabilità del reato “quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”.

Secondo i giudici, dunque, l’accordo sindacale preventivo non è necessario qualora il controllo operato da parte datoriale, ancorché finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale, non si realizzi attraverso un controllo generalizzato dell’attività lavorativa, ma si limiti alla installazione di un sistema mirato esclusivamente alla sorveglianza del patrimonio aziendale (ad esempio per mezzo di telecamere puntate direttamente sulla cassa o sugli armadietti) al fine di accertare eventuali condotte illecite perpetrate dal lavoratore.

La Corte dunque, nel rammentare come la valutazione degli interessi debba essere sempre ispirata al principio di proporzionalità, conclude affermando che il limite all’operatività del divieto di cui all’art. 4 deve essere inteso in senso restrittivo e, coerentemente, applicarsi solo qualora il controllo non abbia carattere diffuso sull’attività lavorativa, posto che, in tal caso, sarà sempre necessario installare il sistema di sorveglianza previo apposito accordo con i sindacati.

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