16 Marzo 2018
L’ art. 6 della legge n. 24/2017 (c.d. legge “Gelli/Bianco”) ha modificato la responsabilità penale in ambito sanitario attraverso l’introduzione, nel codice penale, dell’art. 590 sexies, nel quale si stabilisce che è esclusa la punibilità per imperizia del sanitario per i reati penali di cui agli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) c.p. nell’ipotesi in cui il sanitario si sia attenuto alle raccomandazioni previste dalle linee guida, ovvero, in mancanza di queste, alle buone pratiche assistenziali.
In sostanza si assiste ad una parziale depenalizzazione della colpa professionale del sanitario, la quale – ad una prima lettura della norma – sembra ridotta ai soli casi di negligenza ed imprudenza posto che l’imperizia risulta punibile solo se “grave”, ovvero in caso di mancato rispetto delle linee guida (mentre, evidentemente, la diligenza ed imprudenza appaiono punibili anche se “lievi”).
Su tale disposizione si è già espressa la Suprema Corte di Cassazione con alcune pronunzie.
In particolare, con la sentenza n. 28187 del 20 aprile 2017, la IV sezione penale della Cassazione – subito dopo l’entrata in vigore della legge in esame (avvenuta lo scorso 1° aprile) – ha colto, con riguardo al contenuto dell’art. 590 sexies c.p., un’effettiva “incompatibilità logica”, posto che nella nuova norma introdotta si afferma che il sanitario, nelle sole ipotesi in cui l’evento si è verificato per imperizia, non risponde penalmente se lo stesso ha debitamente osservato le linee guida: sorge, tuttavia, spontaneo domandarsi come possa parlarsi di “imperizia” se comunque sono state rispettate tutte le raccomandazioni o le buone pratiche assistenziali?
Invero la norma appare contraddittoria perché è come se, affermano gli Ermellini, si fosse in colpa per imperizia ma al contempo non lo si fosse, visto che le codificate leges artes sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato al caso di specie.
Stante le suddette perplessità, la Cassazione, a Sezioni Unite penali, è tornata ad esprimersi sull’argomento con la sentenza n. 8770/18, soffermandosi a valutare quale debba considerarsi effettivamente, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di “non punibilità” prevista dall’art. 590 sexies c.p. introdotta dalla legge Gelli/Bianco.
Segnatamente, i giudici, al fine di evitare che la tutela del personale sanitario (che non deve essere certamente mortificato né perseguitato da azioni giudiziarie spesso inconsistenti) non sfoci, comunque, nell’indifferenza dell’ordinamento penale rispetto a gravi infedeltà alle leges artis ha formulato alcuni principi di diritto che di seguito si riassumono.
In proposito si rammenta che, fatta salva l’ipotesi in cui una sentenza venga cassata con rinvio (nel quale caso il giudice del rinvio non potrà fare a meno di conformarsi al principio di diritto espresso dai giudici di legittimità nel momento in cui procede al riesame dei fatti relativi alla causa), i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione non sono, invece, vincolanti per i giudici in generale e – tuttavia – gli stessi vengono certamente considerati influenti (tant’è che, nella maggior parte dei casi, i giudici di merito vi si uniformano).
Ebbene, i principi di diritto espressi dalla Cassazione con la sentenza n. 8770/18, sono i seguenti:
«L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà dell’atto medico».