29 Novembre 2013
A seguito dell’introduzione – attraverso la Riforma Fornero – dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (cd. ASpI), si sono posti problemi applicativi in merito a tale istituto, che sostituisce la vecchia indennità di disoccupazione.
Uno, in particolare, è stato oggetto di un interpello da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, al quale ha recentemente dato risposta il Ministero del Lavoro con nota del 23 ottobre u.s.
Nell’interpello si chiede se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione dell’indennità in questione.
Ed invero, è capitato talvolta che i lavoratori licenziati per giusta causa e/o giustificato motivo soggettivo non abbiano ricevuto il trattamento ASpI sul presupposto che essi stessi avevano dato causa al licenziamento attraverso la propria condotta, di talché lo stato di disoccupazione conseguente al recesso non poteva considerarsi involontario.
Collegato a tale aspetto, inoltre, c’è quello – parallelo – dell’obbligo datoriale di versare il contributo, nella misura di cui all’art. 2, co. 31, l. 92/12, dovuto nei casi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato che danno diritto all’ASpI.
Il Ministero del Lavoro chiarisce autorevolmente la questione, rilevandone l’infondatezza.
Ed invero, rileva il Ministero che l’art. 2, l. 92/12 – che ha introdotto tale istituto – ha previsto, oltre ai requisiti per la sua corresponsione, anche alcuni casi in cui l’indennità in parola non opera, vale a dire l’ipotesi di dimissioni (ad eccezione delle dimissioni per giusta causa e a quelle rese durante il periodo di maternità) e quella di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (salvo, in quest’ultimo caso, che la risoluzione sia pattuita nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui all’art. 7, l. 604/66).
Tali ipotesi – afferma il Ministero – devono ritenersi tassative, di talché non vi è spazio per introdurre ulteriori casi di esclusione dell’operatività dell’istituto in esame.
A supporto del proprio ragionamento, il Ministero richiama anche la pronuncia della Corte Costituzionale n. 405/2001 – in tema di corresponsione dell’indennità di maternità in caso di licenziamento disciplinare – trasponendo per analogia il principio all’epoca espresso dal Giudice delle leggi per affermare che la mancata erogazione dell’indennità costituirebbe indebita sanzione aggiuntiva a quella, già sufficiente, del licenziamento.
Aggiunge, inoltre, il Ministero come la giurisprudenza di legittimità abbia già da tempo sancito che il licenziamento – quale atto discrezionale del datore di lavoro, soggetto peraltro a tutte le verifiche giudiziali del caso – non può considerarsi atto dovuto, con la conseguenza che, ove pure costituisca legittima reazione ad una condotta volontaria del lavoratore, esso non può intendersi come automatico, configurando così un’ipotesi di disoccupazione “volontaria”.
Alla luce di tutte le considerazione su espresse, pertanto, il Ministero conclude – sulla scorta anche delle circolari emesse dall’Inps sull’argomento a seguito della Riforma Fornero – nel senso dell’impossibilità di negare l’obbligo del versamento del contributo a carico del datore di lavoro ex art. 2, co. 31, l. 92/12 e, parallelamente, il diritto del lavoratore di percepire il trattamento ASpI legislativamente previsto.