14 Febbraio 2014
La vicenda in esame trae origine da una recente sentenza della Cassazione (24775/13) con cui i giudici di legittimità tornano a discutere in materia di trasferimento dei lavoratori disabili (art. 33 comma 6 della legge n. 104/92) ed incompatibilità ambientale nel posto di lavoro.
Come noto, il suddetto art. 33 della l. n. 104/92, prevede che il genitore o il familiare con rapporto di lavoro pubblico o privato che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado con disabilità non solo abbia diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, ma non possa essere trasferito senza il suo consenso presso altra sede, con la conseguenza che sarebbe preclusa, al datore di lavoro, la possibilità di trasferire il lavoratore senza consenso pur in presenza delle condizioni richieste dall’art. 2103 c.c. ai fini della legittimità del provvedimento (ossia in presenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo).
Evidentemente una simile soluzione comprimerebbe significativamente il diritto del datore di lavoro al libero esercizio dell’attività economica che, al pari della tutela approntata per l’assistenza alle persone portatrici di handicap, rappresenta un diritto costituzionalmente garantito (art. 41 Cost).
Proprio muovendo da questa esigenza la Corte di Cassazione aveva, in più occasioni, ritenuto che “alla stregua dell’art. 33, comma 5, l. 5 febbraio 1992, n. 104, il diritto del genitore o del familiare-lavoratore, che assiste con continuità un handicappato, di scegliere la sede lavorativa più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non si configura come un diritto assoluto od illimitato, perché tale diritto non può essere fatto valere allorchè – alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra diritti, tutti, di rilevanza costituzionale – il suo esercizio finisca per ledere, in maniera consistente, le esigenze economiche, organizzative o produttive del datore di lavoro e per porsi in contrasto con l’interesse della collettività, l’onere della cui prova incombe sulla parte datoriale privata” (Cass. S.U. 27 marzo 2008, n. 7945; Cass. 29 agosto 2002, n. 12692).
Ebbene, con la pronuncia in commento, gli Ermellini confermano il suddetto orientamento e precisano che se è vero che il legislatore, con la previsione di cui all’art. 33 comma 6 ha sancito la prevalenza della tutela delle persone disabili sulle ordinarie esigenze produttive ed organizzative, ciò non esclude, comunque, che il medesimo interesse, pur prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi che entrano in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro pubblico o privato.
Orbene, la situazione di incompatibilità ambientale, se pur prescinde da ragioni punitive o disciplinari ed è riconducibile in via sistematica alle ragioni tecniche, organizzative e produttive previste all’art. 2103 c.c., costituisce una peculiare causa di disorganizzazione e disfunzione sul regolare svolgimento dell’attività lavorativa atta a realizzare di per sé una obiettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro con conseguente inapplicabilità (e compressione) della tutela di cui all’art. 33 comma 6 della l. 104.
Alla stregua di questi principi nonché di una interpretazione del suddetto art. 33 comma 6, orientata alla complessiva considerazione dei valori costituzionali coinvolti, si ritiene di dover aderire al recentissimo orientamento formato dalla Corte con la sentenza in argomento ritenendo il diritto della persona disabile (beneficiaria delle tutele ex l.n. 104/92) di non essere trasferita senza il suo consenso ad altra sede “non attuabile ove sia accertata la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro”.