19 Aprile 2019
Con sentenza n. 9750 del 08.04.2019, la Cassazione ha introdotto un differente regime per le impugnazioni relative ai casi di trasferimento d’azienda, a seconda che le stesse siano dirette dal lavoratore ad ottenere l’accertamento della prosecuzione del rapporto presso il cedente, ovvero presso il cessionario.
Come noto, l’art. 32 della legge n. 183/2010 prevede che le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 relative ai termini di impugnazione del licenziamento si applichino anche “alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento”.
La Corte d’Appello di Palermo – in ottemperanza alla suddetta disposizione – aveva respinto il ricorso presentato da una lavoratrice al fine di veder accertato il proprio diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il soggetto cessionario del ramo di azienda in cui aveva prestato servizio, in quanto presentato oltre il termine di 60 gg dal disposto trasferimento di ramo d’azienda.
La Suprema Corte, ribaltando la sentenza dei giudici di secondo grado, ha evidenziato come, in presenza di un trasferimento d’azienda, la cessione dei rapporti di lavoro intervenga in via automatica ai sensi di quanto previsto dall’art. 2112 c.c.; di conseguenza, non vi sarebbe alcun onere in capo al lavoratore di impugnazione rispetto ad un atto che costituisce, invece, il presupposto stesso del diritto alla prosecuzione del rapporto con l’impresa cessionaria.
In particolare, secondo i giudici di legittimità, “solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. deve far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, co. 4, lett. c) mentre nella specie” … era stata dedotta “l’intervenuta (e voluta) realizzazione della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. al fine di accertare il passaggio alle dipendenze dell’odierna controricorrente, e dunque la successione della stessa nel diritto controverso”.
Del resto, anche il tenore letterale dell’art. 32 della legge n. 183/10 depone per una simile interpretazione, prevedendo l’applicabilità delle disposizioni in materia di impugnazione del licenziamento di cui all’art. 6 della l. n. 604/66 anche alla “cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c.” e, dunque, solo allorquando venga impugnata tale cessione e non quando, invece, la cessione del contratto non sia avvenuta, ma sia invocata dal lavoratore.
Su tali presupposti, la Suprema Corte ha pertanto cassato con rinvio la sentenza impugnata, in quanto fondata su una decadenza, ritenuta insussistente alla luce della corretta interpretazione dell’art. 32 della l. n. 183/10.