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Tempestività del recesso per superamento del periodo di comporto.

17 Novembre 2015

Con la recentissima sentenza n. 20722 del 15 ottobre 2015, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito alla necessaria tempestività del recesso datoriale in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Tale pronuncia, nel confermare un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sul punto, ha ribadito come detto recesso non possa considerarsi legittimo ove intervenga a distanza di un considerevole lasso di tempo rispetto alla data di superamento del comporto da parte del lavoratore.

La fattispecie oggetto della sentenza in esame riguarda un caso nel quale il dipendente, cessata la malattia che aveva determinato il superamento del periodo di tutela in questione, veniva dapprima riammesso in servizio e posto in ferie, per poi essere licenziato solo successivamente ad un’ulteriore assenza per malattia.
Impugnato il licenziamento, il lavoratore ne vedeva dichiarata l’illegittimità, successivamente confermata anche in appello, sul presupposto per cui l’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa ed il considerevole lasso di tempo con cui il datore di lavoro aveva soprasseduto al recesso, venivano valutate dai giudici di merito quali circostanze idonee ad escludere il necessario nesso causale tra il superamento del periodo di comporto ed il licenziamento.

In senso conforme a siffatto orientamento, la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha ritenuto che la parte datoriale, non essendosi opposta al rientro del dipendente in servizio pur essendo stato superato il comporto – ed avendo lasciato trascorrere un notevole lasso di tempo prima di intimare il licenziamento – avesse posto in essere un comportamento acquiescente incompatibile con la volontà di avvalersi del potere di recesso.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, concorde nel sostenere come l’eventuale prolungata inerzia del datore – che, pur potendo recedere, abbia tuttavia proseguito nell’accettare la prestazione lavorativa – sia indicativa della volontà di rinuncia al potere di recedere e, dunque, idonea a ingenerare nel dipendente un incolpevole affidamento circa la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 24899/11).

Ed invero, come precisato dalla Cassazione, il requisito della tempestività del recesso per superamento del periodo di comporto risponde all’esigenza di tutelare detto legittimo affidamento, evitando che il lavoratore permanga in uno stato di incertezza in merito alle sorti della vicenda contrattuale.
Deve dunque ritenersi che, nella fattispecie in oggetto, la tempestività assuma i connotati di elemento indefettibile, la cui assenza impedisce di ravvisare il necessario collegamento causale fra l’intimazione del licenziamento ed il superamento del comporto addotto a sua giustificazione.

Ciò posto, si evidenzia come nell’impossibilità di ricondurre il concetto di tempestività ad un arco temporale definito e predeterminato, spetti al giudice del merito la valutazione in ordine alla congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento.
Al riguardo, si evidenzia, altresì, come ai fini di tale indagine il giudice non possa limitarsi a valutare il mero dato temporale, dovendo tenere conto anche di tutte le condotte datoriali indicative di un’eventuale rinuncia implicita al potere di recesso.
Pertanto, ferma restando la facoltà (rectius: l’opportunità) di recedere non appena il lavoratore abbia esaurito il periodo di comporto per malattia – e, quindi, anche prima del suo rientro in servizio – ove il licenziamento venga, invece, intimato successivamente a tale momento, sarà opportuno che con la riammissione sul posto di lavoro non concorrano altre corcostanze (quali, a titolo meramente esemplificativo, la concessione di permessi e congedi parentali), incompatibili con l’intenzione di risolvere il rapporto.

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