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Tackle della Cassazione sul salario minimo

4 Ottobre 2023

La Cassazione, con la recente sentenza n. 27711 del 2 ottobre scorso, entra a gamba tesa nel dibattito in corso sulla definizione del salario minimo legale, oggetto di ampio confronto sulle pagine del magazine “L’ARCO” di COSTANTINO&partners.

La Corte, in particolare, ha affermato che ai fini della congruità del trattamento economico rispetto all’art. 36 della Costituzione (che prescrive il riconoscimento di “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”, nonché “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, non basta il corretto pagamento del salario stabilito dal ccnl di categoria.

Il contratto applicato, infatti, anche quando sia sottoscritto dalle OO.SS. maggiormente rappresentative, è solo il primo termine di paragone, da guardare comunque “con grande prudenza e rispetto”.

I giudici, però, possono discostarsene, ed applicare diversi parametri retributivi, quando ritengano insufficiente il salario definito dal contratto applicato; per tale decisione, il magistrato può avvalersi di parametri esterni al rapporto di lavoro, quali le previsioni contenute in Ccnl diversi da quello applicato o indicatori economici o statistici, come consiglia la Direttiva 2022/2041.

Pubblichiamo di seguito il commento alla sentenza di Antonio Marchini, già sindacalista, che, come sempre, ci offre il proprio “altro punto di vista”.

Non posso fare a meno di intervenire alla luce della recentissima sentenza della Corte di Cassazione (27711/23).

Una sentenza che non esito a definire storica.

Ad altri che posseggono gli strumenti il commento tecnico. Ciò che mi preme evidenziare è il dato politico che, indubbiamente, riveste la sentenza.

Si può dire che la giustizia, ancora una volta, si ritrova, giocoforza, a fare da supplente a una politica tentennante rispetto alle concrete necessità.

Mentre il governo ha rinviato al CNEL la presentazione di proposte per contrastare la povertà lavorativa (è aperto un tavolo di confronto presieduto da Brunetta), la Cassazione ha stabilito che i giudici possono disapplicare i contratti collettivi nazionali che prevedano minimi non “proporzionati alla quantità e qualità del lavoro” e “sufficienti ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” come prevede la Costituzione. Ad essi il compito di fissare una cifra che risulti invece adeguata: un “salario minimo costituzionale” che “deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera “.

In un precedente scritto avevo affermato che la soglia dei nove euro come salario minimo, proposta da una parte delle opposizioni parlamentari, era da considerarsi come un punto di riferimento e che nella definizione dei “minimi” si dovessero prendere a riferimento anche i CCNL affini al settore.

Ora la Corte sostiene la stessa cosa, oltre che utilizzare la soglia di povertà calcolata dall’Istat come limite minimo inderogabile.

Sono dell’opinione che l’introduzione per legge di salario minimo non solo darebbe ai giudici un riferimento certo per definire la giusta retribuzione, ma soprattutto eviterebbe che il lavoratore debba rivolgersi a un tribunale per un giusto riconoscimento economico che gli consenta di vivere dignitosamente.

I contrari e i dubbiosi all’introduzione del salario minimo (presente in molti Paesi Europei) argomentavano che era sufficiente la contrattazione tra sindacati e datori di lavoro, senza tuttavia considerare a sufficienza alcuni dati oggettivi come la presenza di “contratti pirata” – che definiscono salari decisamente inadeguati, come raramente capita anche ai CCNL rappresentativi – e tempi biblici per il rinnovo di molte intese.

Chi ha avuto la ventura di condurre trattative nazionali per i rinnovi dei contratti, se da un lato conosce le problematiche del settore di appartenenza, sa altrettanto bene quanto sia difficoltosa la discussione sul salario.

In definitiva si afferma che non è sufficiente la contrattazione tra sindacati e datori di lavoro (che resta il primo punto di riferimento) per tutelare i lavoratori, ma ci si deve conformare alla Carta.

Vedremo come proseguirà il confronto in atto sul salario minimo, ma è certo che, dopo questa sentenza, difficilmente sarà possibile tergiversare.

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