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Sulla conversione del licenziamento per giusta causa in giustificato motivo soggettivo

29 Aprile 2016

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi (Cass. sent. n. 21/16) del tema della possibilità di convertire un licenziamento intimato per giusta causa in un recesso per giustificato motivo soggettivo.
Ed invero, sebbene l’orientamento degli Ermellini in materia sia ormai costante, non mancano pronunce difformi emesse dai giudici di merito.

Nel caso di specie (risalente ad epoca precedente alla cd. Riforma Fornero), infatti, la Corte di Appello di Torino – pur dando atto dell’errore in cui era incorso il giudice di primo grado nel ritenere illegittimo il recesso sottoposto al suo esame – rilevava tuttavia che, a termini di ccnl applicato, la mancanza posta a base del recesso per giusta causa poteva dar luogo al solo licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
In ragione di ciò – rilevato che non era stata proposta dal datore di lavoro alcuna domanda di conversione del licenziamento da giusta causa a giustificato motivo soggettivo – la corte territoriale confermava la sentenza reintegratoria emessa dal Tribunale, sebbene con diversa motivazione.

Ricorreva per la cassazione di tale pronuncia il datore di lavoro che, tra le altre censure, si doleva che la Corte d’Appello non avesse proceduto alla conversione del recesso, nonostante avesse ritenuto integrata dal comportamento della lavoratrice una condotta giustificativa del recesso, sia pure con preavviso.
La Corte di Cassazione – nonostante la (inspiegabile) richiesta in senso contrario da parte del Procuratore Generale – accoglie il ricorso.
Spiegano, infatti, i supremi giudici – richiamando i propri precedenti sul punto – che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso.

Ciò quindi consente al giudice di convertire (rectius, valutare) un licenziamento per giusta causa in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, dal momento che nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore all’annullamento del licenziamento ritenuto ingiustificato ben può ritenersi compresa quella di minore entità derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, preveda il diritto del lavoratore al preavviso.
Allo stesso modo, pertanto, il carattere meramente qualificatorio della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo comporta che, ove il datore di lavoro impugni globalmente la sentenza di primo grado che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, nella sua domanda al giudice d’appello di dichiarare la legittimità della risoluzione del rapporto per giusta causa deve ritenersi compresa la minor domanda di dichiarare la risoluzione dello stesso rapporto per la sussistenza di giustificato motivo soggettivo.

In forza di quanto sopra, quindi – affermano gli Ermellini – la Corte d’Appello avrebbe dovuto pronunciarsi – anche d’ufficio – sulla possibilità che il licenziamento intimato per giusta causa potesse essere qualificato in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Nel caso di specie, pertanto – avendo la corte territoriale ritenuto sussistenti gli estremi di un licenziamento con preavviso – avrebbe dovuto dichiarare la legittimità del recesso, sia pure “derubricando” la giusta causa in giustificato motivo soggettivo e, pertanto, condannare il datore di lavoro al (solo) pagamento del preavviso senza tuttavia alcun obbligo reintegratorio.

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