23 Dicembre 2020
Il Tribunale di Milano, con la recente pronunzia del 9 dicembre 2020, n. 9673, si è espresso in merito ad un ricorso presentato da una sigla sindacale avverso un provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di cui era stato destinatario un proprio rappresentante aziendale che aveva denunciato il mancato rispetto da parte della società datrice di lavoro delle misure contro il contagio da Covid-19.
In particolare, la circostanza che il lavoratore avesse ricevuto nel corso di trenta anni di servizio una sola sanzione disciplinare e poi, invece, dall’inizio della pandemia, un numero rilevante di segnalazioni e contestazioni disciplinari mosse allo stesso a ridosso di suoi rilievi e critiche della gestione organizzativa della pandemia da parte del datore di lavoro, hanno indotto il giudice lombardo a ritenere i vari addebiti e, da ultimo, la sospensione cautelare dal servizio quali elementi sintomatici di un comportamento datoriale finalizzato unicamente a limitare l’operato di un sindacalista particolarmente attivo.
Sulla scorta di tali accertamenti, dunque, il Tribunale di Milano ha dichiarato il carattere antisindacale della sospensione cautelare dal servizio anche in ragione del fatto che, a seguito della stessa, non si fosse reso – invero – necessario alcun ulteriore atto istruttorio idoneo a verificare la fondatezza dell’addebito disciplinare rispetto al quale poteva risultare necessario ricorrere all’allontanamento dal servizio del dipendente.
Malgrado il pronunciamento di antisindacalità della condotta datoriale, il Tribunale di Milano ha espresso talune condivisibili considerazioni sul punto, precisando che «il sindacalista, come tutti i lavoratori, non gode di alcuna patente di immunità dalla attivazione di procedimenti disciplinari per quel che concerne il suo operato sul posto di lavoro. Tuttavia occorre fare buon uso degli strumenti a disposizione per accertare e sanzionare eventuali condotte illegittime: la sospensione cautelare dal servizio è una misura di carattere eccezionale che, in questo caso, è stata utilizzata in modo improprio».
Tali considerazioni sono state più volte ribadite anche dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale il rappresentante sindacale è legittimato ad esprimere liberamente la propria posizione critica nei confronti della azienda, a condizione però che non contravvenga alla correttezza formale, denigrando l’impresa od addebitando alla stessa fatti non provati (cfr. ex multis Cass. sentenza n. 18176/2018).
In particolare con la citata sentenza, i giudici di legittimità hanno chiarito che «non è configurabile in assoluto una “scriminante sindacale” che legittimi ogni comportamento svolto all’interno dell’impresa dal lavoratore nell’ambito di una attività sindacale, pur costituzionalmente tutelata…».
In ogni caso, il provvedimento del Tribunale di Milano in esame non è l’unico finora espresso in materia di condotta antisindacale e misure anticontagio da Covid-19.
Infatti, anche il Tribunale di Treviso, con il decreto n. 2571 del 2 luglio 2020, si è pronunciato in maniera analoga stabilendo che la violazione del Protocollo anticontagio siglato dalle Parti sociali e il Governo lo scorso 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile 2020 e divenuto efficace erga omnes, con eccezione – si rammenta – delle strutture sanitarie (come precisato nella news dello scorso 28 aprile con il suo recepimento nel DPCM del 26 aprile 2020, costituisce condotta antisindacale).
In particolare, nel caso esaminato dal Tribunale di Treviso, la condotta antisindacale è consistita nella esclusione dal Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del Protocollo di regolamentazione (ex art. 13 del suddetto Protocollo) della Rappresentanza Sindacale Aziendale e/o del RSL.
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