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Sciopero e inadempimento parziale della prestazione lavorativa

3 Agosto 2012

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 14 giugno 2011 n. 12978, è tornata a pronunciarsi in relazione alla configurabilità del diritto di sciopero allorquando l’astensione sia relativa solo ad una parte delle mansioni attribuite al prestatore di lavoro.
La questione di fatto si incentra su una controversia promossa da un datore di lavoro relativa all’accertamento nei confronti di una propria dipendente della legittimità o meno della sanzione disciplinare, comminatale per essersi rifiutata di svolgere la prestazione lavorativa in sostituzione di un collega assente, secondo quanto previsto da un accordo aziendale.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda, sancendo la legittimità del provvedimento disciplinare. Contro tale sentenza la convenuta proponeva istanza di impugnazione sia dinnanzi alla Corte di Appello, sia, successivamente, in Corte di Cassazione, ottenendo in entrambi i casi il rigetto. Fra i motivi di impugnazione la dipendente giustificava il suo rifiuto di svolgere la prestazione, attraverso l’adesione ad uno sciopero indetto nella data in questione.
In particolare la Cassazione, nella sentenza in esame richiama, condividendolo, un precedente orientamento (Cass. nn. 547 e 548 del 2011) affermando che, non esistendo una definizione legislativa dello sciopero, lo stesso nei fatti si risolva nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa per il perseguimento di interessi generali dei lavoratori, con conseguente e corrispondente perdita della relativa retribuzione, e non per il soddisfacimento di contingenti esigenze dei singoli.
Il perseguimento dell’interesse collettivo rappresenta senza dubbio uno dei pochi punti fermi riguardante la nozione di sciopero, oltre alla circostanza che l’astensione lavorativa deve avvenire in una precisa delimitazione temporale.
In tale logica la giurisprudenza (Cass. 2480 del 1976) ha incluso nella nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario, mentre non si richiede che l’astensione si estenda all’intera giornata di lavoro, potendo essere intervallata da periodi di offerta della prestazione (sciopero a <<singhiozzo>>), così come non è necessario che riguardi tutto il personale, potendo essere svolto solo da una parte di esso (sciopero <<parziale>>) o a turno dai diversi reparti (sciopero a <<scacchiera>>). Tali forme di sciopero anomalo al pari di qualsiasi diritto, incontrano, seppur legittime, limiti che sono posti dalla concorrente tutela giuridica, su un piano prioritario o, quanto meno, paritario di posizioni soggettive con esse configgenti, quali ad esempio il diritto alla vita e all’incolumità personale o per la funzionalità e produttività degli impianti, ossia il diritto dell’imprenditore di continuare ad esercitare la libertà di iniziativa economica (Cass. 3303 del 4.4.1987).
In merito ai c.d. scioperi anomali citati, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 150 del 1988 si è espressa in relazione alla possibilità per il datore di lavoro di rifiutare, in caso di sciopero parziale, le prestazioni di lavoro offerte da non aderenti allo sciopero. Tale rifiuto è legittimo solo ove vi sia l’assoluta impossibilità di utilizzare  in qualsiasi modo la prestazione stessa.
Successivamente in un’ulteriore pronuncia, la Corte di Cassazione (sent.2446 del 4 marzo 2000), ha sancito che ai fini della legittimità del rifiuto della prestazione del dipendente, da parte del datore di lavoro, la stessa deve essere inutilizzabile e non proficua, avuto riguardo all’organizzazione aziendale preesistente allo sciopero; non è, infatti, richiesto all’imprenditore di modificare i processi produttivi al fine di rendere utile la prestazione offerta.
Non si può parlare, invece, di diritto di sciopero, quando il rifiuto di svolgere la prestazione riguardi solo uno o più compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. Difatti, l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente ritiene estranee allo sciopero tutte quelle forme di lotta sindacale non consistenti in un’astensione completa dal lavoro, con la conseguenza che il lavoratore non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere.
Tanto premesso, la Corte ritiene peraltro, che il rifiuto di effettuare alcuni compiti di competenza di un collega assente, in violazione di un obbligo specifico previsto dal contratto collettivo, non è astensione da lavoro straordinario, né astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è un rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute.
Difatti, la richiesta di prestazione aggiuntiva rientra nei poteri riservati al datore di lavoro, che conserva la facoltà non solo di strutturare e organizzare la propria azienda, ma anche quella di stabilire l’orario e adeguare le prestazioni dei dipendenti in relazione alle esigenze della stessa, nel rispetto delle norme di legge e contrattuali vigenti.
Pertanto la suddetta condotta è assimilabile al c.d. “sciopero delle mansioni”, comportamento che esorbita il diritto riconosciuto dall’art. 40 della Costituzione ed illegittimo per la giurisprudenza (Cass. Sent. 2214 del 1986) e, come tale, certamente sanzionabile dal datore di lavoro.

 

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