28 Marzo 2022
Il Governo ha introdotto una specifica deroga per il reclutamento del personale sanitario proveniente dai territori interessati dal conflitto ucraino.
L’art. 34 del decreto legge del 21 marzo, “Deroga alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie per medici ucraini”, consente – in realtà – l’esercizio temporaneo non solo ai medici, ma ai cittadini ucraini in possesso di tutte le qualifiche professionali sanitarie riconosciute dall’UE e della qualifica di operatore socio-sanitario che intendono esercitare nel territorio italiano una professione sanitaria o la professione di operatore socio-sanitario in base a una qualifica professionale conseguita all’estero.
A differenza del regime già introdotto per i sanitari stranieri con l’art. 13 del d.l. n. 18/2020 (la cui scadenza è stata prorogata al 31 dicembre 2022 dalla legge n. 126/21), la deroga al riconoscimento dei titoli per i cittadini ucraini sarà utilizzabile fino al 4 marzo 2023 ed è rivolta ai cittadini ucraini che risultino residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 (data di inizio del conflitto) e siano muniti del Passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati.
I professionisti in questione potranno esercitare la loro attività presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private, che avranno la possibilità di procedere al loro reclutamento attraverso contratti a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa. A tal fine basterà semplicemente fornire i nominativi dei professionisti sanitari reclutati alle Regioni e alle province autonome sul cui territorio insistono, nonché ai relativi Ordini professionali.
Occorre inoltre rilevare che, mentre l’art. 13 del d.l. n. 18/2020, in base al quale gli interessati, per poter esercitare temporaneamente la professione in Italia in deroga alle norme sul riconoscimento dei titoli, devono presentare apposita
istanza corredata da un certificato di iscrizione all’albo dello Stato di provenienza alle Regioni e province autonome, la nuova norma ribalta sulle strutture sanitarie ogni adempimento, peraltro limitato alla mera comunicazione del nominativo del sanitario.
Si tratta, com’è evidente, di una misura introdotta al fine di favorire il reinserimento lavorativo dei tanti rifugiati che sono arrivati nel nostro Paese, agendo peraltro su un settore (quello sanitario) in cui gli innesti di personale sanitario sono sicuramente molto utili, tenuto conto delle croniche carenze di alcuni profili e delle assenze dovute al mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale gravante su tali professionisti e operatori.
L’attuale formulazione della norma è tuttavia destinata a suscitare non poche perplessità, in quanto non è chiaro quali verifiche saranno effettuate e chi sia il soggetto tenuto ad accertare l’effettivo possesso del titolo o della qualifica professionale da parte del cittadino ucraino presso il Paese di provenienza (le strutture? gli Ordini professionali? le Regioni?).
Sempre ammesso che una simile verifica sia possibile. Bisogna infatti considerare le oggettive difficoltà – anche da parte dei diretti interessati – nel produrre o reperire in questo momento documentazione ufficiale nei casi in cui il titolo sia stato conseguito in Ucraina.
È evidente che l’impiego di tali risorse non possa prescindere da un accertamento, seppur minimo, dei titoli e delle abilitazioni possedute dai cittadini ucraini, pena inevitabili ripercussioni sulla qualità delle cure e dell’assistenza che lo Stato (e, per esso, anche le strutture private accreditate o semplicemente autorizzate) sono tenute a garantire.
L’auspicio è, pertanto, che in sede di conversione del decreto possa essere sciolto tale importante nodo che rischia, altrimenti, di vanificare la portata e lo scopo della disposizione.