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Sanità pubblica vs Sanità privata: report della Fp Cgil su liste d’attesa e costi.

21 Maggio 2019

La Funzione Pubblica Cgil ha presentato, il 15 maggio scorso, il secondo Rapporto dal titolo “Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni sanitarie nei Sistemi Sanitari Regionali”, promosso dallo stesso sindacato e dalla Fondazione Luoghi Comuni che, anche questa volta, ha confermato la maggiore efficienza della sanità privata rispetto a quella pubblica.

Nonostante siano mutate le Regioni prese a riferimento per lo studio attuale, il divario medio complessivo tra i tempi di attesa per una prestazione nel SSN e nella sanità privata accreditata è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’indagine condotta lo scorso anno: a fronte dei 60 giorni (in media) necessari per accedere alle cure nelle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, sono sufficienti circa 39 giorni per ricevere prestazioni nelle strutture private accreditate.

Tra le regioni prese a campione, per i tempi di attesa per le prestazioni mediche nel SSN, spicca l’Emilia Romagna con una media di 30 giorni di attesa per una visita; come sottolineato dalla Cgil, si tratta della Regione che (non a caso) nell’ultimo biennio ha investito maggiormente sul personale (con oltre 5 mila assunzioni, di cui 1.450 precari stabilizzati) e sui sistemi di controllo informatizzati, strumento fondamentale per il governo dei flussi di accesso alle prestazioni sanitarie.

Lo studio esamina poi i costi delle prestazioni, intesi come importi che i cittadini sono tenuti a sborsare per l’accesso alle prestazioni sanitarie: anche in questo caso, il costo della prestazione nelle strutture private risulta inferiore rispetto a quello della medesima prestazione erogata in regime di intramoenia presso una struttura pubblica.

Non solo: dallo studio è emerso altresì che, molto spesso, i costi delle prestazioni in strutture private sono sovrapponibili o, addirittura, più economici del costo del ticket, con conseguente ricorso da parte dei cittadini a sempre più frequenti spese ‘out of pocket’ (ovvero di tasca propria) per effettuare visite mediche in ambito privatistico.

Alla luce di tali dati, la naturale conclusione del sindacato è quella della necessità di “un urgente e non più rinviabile … investimento straordinario in termini di risorse, personale, professionalità e tecnologie in tutto il nostro servizio sanitario nazionale che mostra evidenti segni di collasso con gravi e profonde ripercussioni sulle sue caratteristiche di universalità”.

Secondo la Cgil, infatti, “Il progressivo definanziamento del servizio sanitario nazionale ha creato inefficienze che portano ad allungare le liste di attesa e incentivano lo sviluppo di un’offerta privata spesso concorrenziale, tanto per il costo quanto per i tempi di risposta”.

Si tratta, indubbiamente, di considerazioni corrette e condivisibili, atteso che è innegabile che la politica di riduzione delle risorse dedicate alla spesa sanitaria degli ultimi anni stia incidendo negativamente sulla qualità dei servizi resi ai cittadini e non sia ulteriormente procrastinabile.

Tuttavia, c’è un elemento che emerge dallo studio in esame che forse non andrebbe trascurato (neppure dal sindacato), ovverossia l’efficienza del privato accreditato che – come il servizio pubblico – garantisce l’accesso alle cure a tutti i cittadini e che ha risentito maggiormente della politica dei tagli in sanità.

Le prestazioni sanitarie offerte dalle strutture sanitarie private accreditate coprono infatti una importante fetta di mercato, eppure esistono profonde differenze relative al finanziamento: soltanto le strutture pubbliche possono attingere a risorse ulteriori rispetto al DRG e tale profonda disparità finisce per determinare una grave alterazione della libera concorrenza tra operatori pubblici ed operatori privati.

L’originario principio della sostanziale parità fra gli erogatori pubblici e privati e della conseguente libertà di accesso, desumibile dal decreto leg.vo 502/92, si è progressivamente attenuato nelle successive disposizioni di legge nazionali e regionali e ormai costituisce solo un ricordo.

La sanità privata accreditata, secondo i principi del citato decreto n. 502, avrebbe dovuto avere pari dignità della sanità pubblica in un sistema, quale era quello ipotizzato nel 1992, che aveva come discriminante non la natura dei soggetti erogatori ma il servizio e le prestazioni rese; i soggetti sia pubblici che privati avrebbero dovuto essere valutati sulla base di parametri obiettivi idonei a misurare l’appropriatezza, l’efficacia, l’efficienza, la qualità e i costi delle cure.

La auspicata realizzazione di un sistema di sostanziale competizione fra pubblico e privato (ovviamente con l’obbligo del possesso di uguali requisiti di organizzazione e di qualità) però non ha avuto seguito.

Infatti, progressivamente, l’aumento dei problemi di sostenibilità del sistema a fronte di esigenze sanitarie sempre maggiori, ha indotto lo Stato e le Regioni ad agire prevalentemente su quella spesa che per sua natura può essere più facilmente compressa e ridotta, ossia la spesa privata.

Quanto sopra, nonostante siano evidenti le difficoltà delle aziende del SSN a gestire il contenimento dei costi, rispetto alle strutture private.

Dunque, se l’obiettivo è quello di garantire l’universalità delle cure evitando (al contempo) l’incremento della spesa pubblica, si dovrebbe tornare a prendere in seria considerazione l’ipotesi di un mercato pienamente concorrenziale tra pubblico e privato accreditato, in cui – a parità di risorse e di requisiti – devono essere garantite pari prestazioni, pena l’esclusione dal circuito del SSN.

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