19 Luglio 2023
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12244 del 9 maggio 2023, ha affermato che, in caso di rifiuto di trasformare il rapporto di lavoro da full time a part time, il lavoratore può essere legittimamente licenziato qualora il recesso non sia intimato in ragione del diniego opposto ma a causa dell’impossibilità dell’utilizzo della prestazione a tempo pieno.
La pronuncia trae origine dalla vicenda di una lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento per g.m.o. irrogatole all’esito del rifiuto opposto alla richiesta di trasformare il proprio orario di lavoro in part-time, trasformazione resasi necessaria a seguito della cessione del ramo d’azienda, costituito dal supermercato a cui era addetta la lavoratrice.
In particolare, i cessionari avevano deciso di prestare direttamente attività lavorativa nel punto vendita, con la conseguenza che la forza lavoro risultava sovradimensionata; per tale ragione avevano chiesto ai tre dipendenti full-time, tra cui la lavoratrice, la disponibilità alla riduzione dell’orario di lavoro.
Il Tribunale, tuttavia, dichiarava il licenziamento illegittimo (ma non ritorsivo) e condannava la Società a riassumere la ricorrente oppure a corrisponderle un’indennità risarcitoria pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto ai sensi dell’art.8, legge 604/66.
La Corte d’Appello, adita dalla lavoratrice, respingeva il reclamo con cui si censurava la sentenza di primo grado per non aver riconosciuto la natura ritorsiva o, in subordine, l’inefficacia del licenziamento.
Avverso tale decisione la lavoratrice proponeva, infine, ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, pur rammentando che, ai sensi dell’art.8, co. 1, del d.lgs.81/15, “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”, ha, però, precisato che tale norma, se da un lato esclude che il rifiuto del part time possa costituire di per sé un motivo di licenziamento, dall’altro non preclude la facoltà di recesso per motivi oggettivi conseguenti al rifiuto del part time, comportando, in tal caso, “una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere di prova” postoa caricodel datore.
In tale ipotesi, infatti, dovrà essere dimostrata la sussistenza: 1) delle effettive esigenze economiche e organizzative che non consentono il mantenimento della prestazione a tempo pieno, ma solo con l’orario ridotto, 2) dell’avvenuta proposta formulata al dipendente circa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e il rifiuto dello stesso, 3) dell’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione dell’orario e il licenziamento.
In presenza di tali presupposti, quindi, il licenziamento non deve considerarsi irrogato a causa del rifiuto del lavoratore, bensì a causa dell’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno conseguente al rifiuto di trasformare il rapporto in part-time.
Sussistendo, quindi, concrete esigenze economico-organizzative che rendono effettivamente impossibile per il datore di lavoro continuare a utilizzare la prestazione full-time, il recesso per giustificato motivo oggettivo deve ritenersi legittimo.
Il rifiuto della trasformazione del rapporto in part time diventa, quindi, “una componente del più ampio onere di prova del datore, che comprende le ragioni economiche da cui deriva l’impossibilità di continuare a utilizzare la prestazione a tempo pieno e l’offerta del part time rifiutata”.
Nel caso in esame, la Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte d’appello, ha rigettato il ricorso della lavoratrice, escludendo che il licenziamento fosse sorretto da un motivo ritorsivo unico e determinante nei confronti della stessa.