22 Febbraio 2013
Il Ministero del lavoro ha risposto recentemente alla richiesta di interpello formulata dall’Assolavoro circa la corretta applicazione dell’art. 5, comma 4 bis d.lgs. n. 368/01, con particolare riferimento all’applicabilità del periodo massimo di occupazione del lavoratore (trentasei mesi) anche al contratto di somministrazione.
In altri termini, il dubbio posto dall’Assolavoro era il seguente: può un’azienda utilizzatrice, una volta concluso il periodo massimo di trentasei mesi di occupazione a tempo determinato (art. 5, comma 4 bis d.lgs. n. 368/01), far ricorso alla somministrazione a tempo determinato nei confronti dello stesso lavoratore?
L’art. 5, comma 4 bis, così come modificato dall’art. 1, comma 9, lett. i) l. n. 92/12, prevede: “Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 1 del presente decreto e del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”.
Pertanto, l’intento della nuova formulazione della norma introdotta dalla legge Fornero è evidentemente quello di evitare che, attraverso il ricorso alla somministrazione, sia eluso il limite massimo di trentasei mesi all’utilizzo dello stesso lavoratore con mansioni equivalenti; così, nel computo di tale periodo dovranno essere considerati anche i contratti di somministrazione di lavoro con decorrenza dal 18 luglio 2012, ossia dalla data di entrata in vigore della norma stessa.
Tuttavia, sebbene il chiaro intento antielusivo della norma, il Ministero, con nota del 19 ottobre 2012, ha fornito una risposta che appare – ad avviso dello scrivente – diametralmente opposta rispetto all’obiettivo perseguito dalla norma stessa.
Invero, il Ministero ha ritenuto che il contratto a termine e quello di somministrazione costituiscano due diversi strumenti di flessibilità, disciplinati da normative differenti, sottolineando come la direttiva comunitaria 1999/70/Ce, recepita nel d.lgs. n. 368/01, per quanto introduca misure restrittive in relazione alla durata massima dei contratti a tempo determinato, escluda espressamente l’applicabilità di tali principi alla somministrazione.
Invero, l’art. 22 d.lgs. n. 276/03, prevede che: “In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore”, con ciò restando esclusa dal contratto di somministrazione la disciplina afferente ai periodi di intervallo tra un contratto e l’altro (60 o 90 giorni), il limite di durata massima (36 mesi), la regolamentazione del diritto di precedenza.
Alla luce di tali argomentazioni, il Ministero conclude la risposta ad interpello affermando che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi (salvo che diversamente non sia disposto dai contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative), può impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Pertanto, secondo l’interpretazione fornita dal Ministero, il datore di lavoro proprio in coincidenza con la scadenza dei 36 mesi di cui sopra, ossia del periodo massimo di assunzione a tempo determinato di un lavoratore per lo svolgimento delle stesse mansioni, può far ricorso al contratto di somministrazione sine die, così potendo paradossalmente impiegare il medesimo lavoratore, in modo precario, per un tempo indeterminato!
Così intendendo la norma verrebbero computati con i contratti a termine anche i periodi di somministrazione prima del raggiungimento dei 36 mesi massimi, mentre dopo il raggiungimento di detto limite – del tutto irragionevolmente – il datore di lavoro potrebbe far ricorso alla somministrazione per ottenere le medesime prestazioni da parte del lavoratore già “sperimentato”.
Si tratta, a ben vedere, di ciò che la riforma Fornero avrebbe voluto escludere.
Alla luce di ciò, nonostante l’interpretazione resa dal Ministero, si dubita fortemente che essa possa essere condivisa anche dalla giurisprudenza che, con buona probabilità, avrà modo di pronunciarsi (anche in senso opposto) in merito a tale tematica.