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Riconoscimento della causa di servizio e risarcimento del danno

3 Settembre 2015

La Cassazione, con la recente sentenza n. 16530 del 6 agosto 2015, è tornata sulla distinzione tra i concetti di malattia dipendente da causa di servizio e di patologia derivante dalla violazione dell’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., il quale dispone che l’imprenditore sia tenuto ad  “adottare (…) le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Il Supremo Collegio, in particolare, ha affermato che la riconosciuta dipendenza della malattia da una causa di servizio non implica necessariamente che gli eventi dannosi “siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad  un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall’ambito dell’art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici”.
In effetti, la stessa Corte, con precedente sentenza n. 2038/13, aveva già precisato che l’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, cosicché è onere del lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro.

Tali recentissimi approdi, sebbene emessi nell’ambito del pubblico impiego, rafforzano e confermano le conclusioni a cui gli stessi giudici di legittimità sono giunti con riferimento ai lavoratori privati (cfr. news del 25 maggio 2012), per i quali è stato affermato che vi è una distinzione tra il concetto di responsabilità professionale, in base alla quale un determinato infortunio può essere o meno indennizzato dall’Inail, e la responsabilità civile che, invece, può costituire l’unica causa per la quale il datore di lavoro può essere chiamato a risarcire il danno alla salute del dipendente.
Secondo la sentenza della Cassazione n. 6002 del 17 aprile 2012, infatti, la tutela prestata dall’Inail opera anche qualora il dipendente, in occasione di lavoro, subisca un infortunio in “conseguenza di caso fortuito, di forza maggiore o anche di colpa dello stesso lavoratore”, mentre il sorgere della eventuale responsabilità aggiuntiva ex art. 2087 c.c., “presuppone la responsabilità per colpa del datore di lavoro” e, cioè “che il comportamento del datore di lavoro sia qualificato da uno specifico disvalore”.

La medesima decisione sopra citata, tuttavia, ha ammesso che la linea di demarcazione tra le due tipologie di responsabilità non è così netta, atteso che – ai sensi dell’art. 2087 c.c. – il datore di lavoro è tenuto ad adottare, non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica.
Tuttavia (come già precisato nella citata news) non può addossarsi al datore di lavoro un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno.
La sentenza in esame aggiunge un tassello in tale percorso di progressivo chiarimento dei limiti della responsabilità contrattuale del datore di lavoro, precisando che la stessa è “ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici”.

Così facendo, la Suprema Corte procede ad un (seppur graduale e certamente non veloce) ravvicinamento tra la responsabilità contrattuale del datore di lavoro e gli obblighi sullo stesso gravanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 81/08, il quale, come noto, è fondato sul concetto di rischio e, cioè, sulla “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione” (cfr. art. 2).

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