La vicenda in esame trae origine da un procedimento disciplinare culminato nel licenziamento per giusta causa di un dipendente di un istituto di credito resosi responsabile di una serie di inadempimenti.
In particolare, la Corte d’appello di L’Aquila, rigettando le eccezioni mosse dal dipendente, aveva ritenuto il licenziamento legittimo in quanto, oltre che proporzionato, avvenuto nel pieno rispetto delle regole procedurali di cui all’art. 7 l. n. 300/70, sia sotto il profilo dell’immediatezza della contestazione, sia sotto quello del diritto di difesa del lavoratore in ordine alla disattesa richiesta di audizione orale.
La Corte di Cassazione, nel confermare le argomentazioni sostenute dalla Corte d’appello, ha reso circostanziate motivazioni onde affermare in ordine alla tempestività della contestazione nonché la legittimità del rifiuto del datore di lavoro di “sentire” il dipendente nel corso del procedimento disciplinare.
In particolare, il lavoratore contestava la tardività della contestazione disciplinare sulla base del presupposto che questa gli fosse stata consegnata alla fine del maggio 2003, ossia oltre due mesi dal termine delle indagini interne disposte dal datore di lavoro (marzo 2003).
Sul punto, la Corte di Cassazione ha ritenuto logico e correttamente motivato il procedimento seguito dalla Corte territoriale, secondo cui la contestazione disciplinare deve ritenersi tempestiva sulla base delle seguenti circostanze:
a) complessità dell’organizzazione aziendale determinata dal fatto che la struttura era articolata in una pluralità di Direzioni con diversi livelli decisionali diffusi nel territorio;
b) elevato numero delle infrazioni acclarate che richiedevano approfondimenti, analisi e chiarimenti presso la Direzione centrale;
c) sospensione cautelare del dipendente (a dimostrazione della mancata acquiescenza da parte del datore di lavoro).
Per quanto, invece, concerne l’audizione del lavoratore nell’ambito di un procedimento disciplinare a suo carico, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui questa sia di fatto impedita da uno stato di malattia debitamente certificato, il datore di lavoro è tenuto a disporre il rinvio dell’audizione al termine del periodo di malattia (Cass. Civ., sez. lav., 4 aprile 2006, n. 7848; Trib. Milano 9 dicembre 2011), fermo restando che i termini del procedimento disciplinare e, dunque, per l’irrogazione della sanzione, rimangono sospesi sino a quando il lavoratore non abbia compiutamente espletato il proprio diritto di difesa.
Mentre, qualora il lavoratore adduca <<una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare>>, questi non ha diritto al differimento dell’incontro che, in tal caso, potrebbe assumere contorni meramente dilatori (cfr. in tal senso, Cass. civ., sez. lav., 31 marzo 2011, n. 7493; Cass. Civ., sez. lav., 23 marzo 2002, n. 4187).
Orbene, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto la legittimità del comportamento del datore di lavoro, il quale aveva per ben quattro volte rinviato la data di audizione del lavoratore a causa di certificati medici e poi aveva provveduto ad irrogare il licenziamento al fine di non paralizzare l’azione disciplinare.
Peraltro, la Corte di Cassazione, entrando (per quanto impropriamente) nel merito della dichiarazione resa dal medico curante, è giunta ad affermare che la malattia denunciata (stato depressivo) dal dipendente non fosse idonea ad impedirgli di effettuare il colloquio, né tantomeno di rendere edotto il rappresentante sindacale sulle giustificazioni da fornire.