24 Gennaio 2014
Soprattutto nel periodo attuale, di grande confusione sui requisiti per il conseguimento dei trattamenti previdenziali, in più occasione modificati dal legislatore, si pone la necessità di tutelare il lavoratore che compia scelte importanti, quando non irreversibili, in ragione delle informazioni acquisite dall’Ente previdenziale in ordine al conseguimento del diritto al trattamento previdenziale.
Sul punto, è recentemente intervenuta la Suprema Corte con una significativa pronuncia (Cass. 21454/2013), di particolare interesse in quanto modificativa del precedente orientamento in materia.
Nel caso di specie, un lavoratore si era indotto a rendere le dimissioni dal proprio posto di lavoro a seguito di informazioni contenute in un estratto conto assicurativo, reso senza formalità dall’Inps, nel quale risultava raggiunto il requisito contributivo per accedere alla pensione di anzianità.
Successivamente, tuttavia, a seguito di più approfonditi accertamenti, si rilevava l’erroneità di tali informazioni, con conseguente richiesta risarcitoria del lavoratore, rimasto senza lavoro e senza pensione.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda del lavoratore, che viceversa veniva rigettata in appello, sulla considerazione – propria peraltro dell’allora vigente orientamento della giurisprudenza di legittimità – che le informazioni acquisite non avevano valore certificativo, oltre che in forza del ritenuto concorso di colpa dell’assicurato, reo di non aveva prestato alcuna attenzione alle espressioni cautelative contenute nell’estratto conto, che lo invitavano a verificare le informazioni fornite.
La Suprema Corte, premessa la natura contrattuale del risarcimento del danno causato dall’Inps per errate informazioni sui requisiti pensionistici, rammenta il proprio (recente) precedente orientamento in termini (Cass. 7683/2010), a mente del quale si era statuita l’inesistenza di responsabilità in capo all’Inps per le errate informazioni contenute in un informale estratto conto, in quanto rese al di fuori del procedimento ex art. 54, l. 88/89, solo nell’ambito del quale viceversa l’Ente rende una vera e propria certificazione, impegnativa nei confronti dell’assicurato.
Gli Ermellini tuttavia, nella fattispecie in esame, superano il loro precedente orientamento, affermando che il principio di tutela del legittimo affidamento costituisce principio generale dell’ordinamento, valido nei rapporti tra privati come in quelli tra cittadino e pubblica amministrazione, con la conseguenza che quest’ultima deve garantire, sia nell’esercizio dei poteri autoritativi sia nell’ambito dei rapporti contrattuali, l’affidamento e l’attendibilità delle sue dichiarazioni.
La Corte giunge finanche ad affermare che la pubblica amministrazione, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza, non dovrebbe rendere informazioni errate o dichiaratamente approssimative, atteso che è dotata di poteri di indagine e certificazione che le consentono di rendere informazioni corrette, e ciò deve ritenersi valido anche quando le informazioni siano rese al di fuori di uno specifico procedimento amministrativo, come nel caso dell’estratto conto assicurativo.
Così chiarita inequivocabilmente la responsabilità dell’Inps nel caso in questione, la Corte di Cassazione rileva, tuttavia, che – al fine di quantificare il risarcimento del danno lamentato – andrà valutata l’incidenza della condotta del lavoratore, che ha concorso nella determinazione del danno, per non aver tenuto in alcun conto gli avvertimenti contenuti nell’estratto conto.
Anche il cittadino, quindi, è onerato – nei limiti delle proprie possibilità e dell’ordinaria diligenza e senza che ciò possa comportare attività gravose o eccezionali – di un controllo delle informazioni rese dalla pubblica amministrazione, in ossequio al principio di doverosa collaborazione del creditore ex art. 1227, co. 2, c.c.