22 Ottobre 2019
A seguito della emanazione della legge n. 24/2012 (cd. legge “Gelli”) si è molto discusso sul tema della responsabilità sanitaria, distinguendo tra quella a carico della struttura e quella in capo ai singoli operatori sanitari.
La Cassazione, di recente, si è espressa in materia con l’ordinanza n. 24167/2019, con la quale si è occupata di una vicenda relativa all’azione di regresso esercitata da una Casa di cura nei confronti di un medico al fine di far accertare la sua responsabilità per imperizia rispetto ad un intervento chirurgico dallo stesso effettuato per l’inserimento di una protesi all’anca che aveva arrecato danni ad un paziente.
In particolare, il giudice di primo grado aveva sancito la responsabilità solidale della Casa di cura e del medico condannando entrambi a risarcire il paziente, mentre la Corte d’Appello (successivamente adita su istanza della struttura sanitaria) aveva riformato la sentenza di primo grado stabilendo che, poiché il medico non aveva dimostrato – nell’ambito dell’azione di regresso esercitata dalla struttura – quale fosse il profilo di responsabilità ascrivibile alla clinica, ben poteva affermarsi la sua esclusiva responsabilità nella causazione del danno.
A seguito del ricorso incardinato dagli eredi del medico (che nel frattempo era deceduto), la Cassazione ha invece riformato tale pronunzia affermando il principio per cui «laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto ad un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione … agendo in regresso nei confronti del chirurgo… è sul soggetto che agisce in regresso a fronte di una responsabilità solidale che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto».
Dunque, a giudizio della Suprema Corte, non costituiva onere probatorio del sanitario, convenuto nell’azione di regresso, individuare precise cause di responsabilità della clinica ma, al contrario, ricadeva su quest’ultima l’onere di provare che il danno prodotto al paziente fosse da ricondurre esclusivamente all’imperizia del medico.
Pertanto, alla luce della normativa attualmente in vigore ed alle interpretazioni giurisprudenziali in materia, sia nell’ipotesi in cui il sanitario sia chiamato in causa direttamente dal paziente sia nel caso in cui sia convenuto dalla struttura sanitaria, incombe su coloro che agiscono nei suoi confronti l’onere probatorio di dimostrare la sua responsabilità.