12 Febbraio 2021
L’attuale fase di emergenza sanitaria sta portando all’attenzione dei giudici del lavoro problematiche nuove, alcune delle quali sono state definite con provvedimenti senza precedenti.
In particolare, il Tribunale di Trento, con la recente ordinanza n. 496 del 21 gennaio 2021, è stato chiamato a pronunciarsi in ordine alla legittimità di un licenziamento per giusta causa comminato ad una lavoratrice che, recatasi durante il periodo di ferie all’estero (e qui prolungando la sua permanenza mediante il ricorso ad altri istituti, quali permessi “104” e per malattia della figlia), era successivamente tornata in Italia e costretta ad assentarsi ulteriormente dal lavoro per rispettare l’obbligo di quarantena fiduciaria imposto dalle disposizioni di legge vigenti per coloro che fanno rientro da alcuni Paesi (tassativamente indicati dal Legislatore).
Segnatamente, nella fattispecie, il datore di lavoro aveva contestato alla lavoratrice che la sua complessiva condotta aveva determinato rilevanti problemi organizzativi all’azienda, arrecandole un grave pregiudizio.
La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento eccependo, in primis, il carattere ritorsivo del provvedimento (a suo dire determinato dal risentimento che la datrice di lavoro nutriva nei sui confronti per il fatto che, pur esercitando un suo diritto, si fosse assentata per un lungo periodo dal lavoro) e, in secondo luogo, l’insussistenza della giusta causa, rivendicando di conseguenza il diritto alla reintegra in servizio.
Il giudice investito della vertenza, esaminando preliminarmente la sussistenza della giusta causa (la cui eventuale ricorrenza rende non esclusivo e, quindi, non determinante il motivo ritorsivo), ha ritenuto che la lavoratrice, nel momento in cui ha deciso di recarsi in Albania per trascorrere le proprie ferie, nonostante le ben note restrizioni e gli altrettanti ben noti obblighi di quarantena/isolamento fiduciario conseguenti, era (o comunque avrebbe dovuto essere) pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non sarebbe potuta tornare immediatamente al lavoro.
Pertanto, a parere del giudicante, la dipendente si è posta in maniera consapevole in una situazione di impossibilità a riprendere servizio alla fine delle ferie, mostrando totale disinteressamento per i problemi organizzativi creati all’azienda, anche in considerazione della particolare emergenza sanitaria in atto e del periodo interessato (pieno periodo estivo).
In sostanza il giudice, valutando la condotta della dipendente – sia sotto il profilo oggettivo (ovvero l’assenza di 14 giorni per isolamento fiduciario), sia sotto il profilo soggettivo (vale a dire l’aver manifestamente anteposto i propri interessi personali alle esigenze dell’azienda) – ha ritenuto che si sia determinata una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario che deve necessariamente essere sotteso al rapporto di lavoro, concludendo pertanto per la legittimità del licenziamento.
Inoltre, nel provvedimento in commento ha espressamente affermato che esigere un comportamento diligente da parte della lavoratrice, che comporti l’astensione da un viaggio all’estero, non possa neppure configurarsi come una limitazione all’esercizio del suo diritto a fruire delle ferie.
La sentenza in commento conferma, quindi, che la valutazione della diligenza del lavoratore debba essere condotta in maniera molto rigorosa, soprattutto in un periodo così particolare nel quale ciascun soggetto è chiamato, con senso di responsabilità, a contribuire alla lotta contro la pandemia ed a limitare i disagi dalla stessa arrecati.
Download Quarantena domiciliare per rientro dall’estero e licenziamento per giusta causa