29 Aprile 2015
Con una recente sentenza (Cass. 4/15) la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di straordinario forfetizzato.
Nel caso di specie, una società aveva per lungo tempo corrisposto ai propri dipendenti emolumenti a titolo di compenso forfetario per l’eventuale lavoro straordinario prestato. Aveva successivamente comunicato l’intenzione di pagare le sole ore di lavoro straordinario svolte e ne era seguito un contenzioso, ritenendo i dipendenti dovuto il compenso sino ad allora percepito, in forza del principio dell’irriducibilità della retribuzione.
Gli Ermellini danno ragione ai lavoratori.
In particolare, il Supremo Collegio evidenzia che, dalla ricostruzione effettuata nei giudizi di merito, era emerso che gli importi in questione – peraltro molto diversi per entità nonostante attribuiti a lavoratori aventi parità di anzianità e retribuzione complessiva – sin dall’inizio apparivano svincolati dall’eventuale prestazione di lavoro straordinario.
A tale proposito, continua la Corte con ragionamento di carattere generale, il solo dato testuale contenuto nell’accordo che qualificava gli emolumenti come straordinario forfetizzato non può di per sé vincolare il giudice nella propria valutazione circa la loro effettiva qualificazione giuridica, se non altro perché i termini utilizzati dalle parti possono essere (pur senza alcuna volontà malevola o elusiva di norme di legge) semplicemente impropri o inesatti.
Ciò premesso, aggiungono i Supremi Giudici che – ove pure nel caso di specie si potesse sostenere che gli importi in questione originariamente fossero stati attribuiti a titolo di straordinario forfetizzato – tuttavia da lungo tempo avevano di fatto perso tale funzione.
Spiega infatti la Corte che “quando un rapporto negoziale a tempo indeterminato…si prolunga…per un lasso di tempo rilevante, il suo contenuto non è più costituito soltanto dalle pattuizioni originarie, ma anche da quelle successive, nonché, più ampiamente, da tutte le modificazioni avvenute, anche in via orale e anche per fatti concludenti, durante il corso del rapporto stesso”.
E così può avvenire, come nel caso di specie secondo gli Ermellini, che un’attribuzione patrimoniale che in origine avesse funzione di compenso forfetario per prestazioni di lavoro straordinario l’abbia mutata nel corso del tempo, trasformandosi in un superminimo non più eliminabile.
Aggiunge la Corte – con una sorta di inversione dell’onere della prova invero opinabile – che, al fine di sottrarsi a tale conseguenza, la società avrebbe dovuto dimostrare come, anche per il periodo successivo alla cessazione dello svolgimento di prestazioni straordinarie, la causale dell’erogazione in parola fosse rimasta la medesima delle origini.
I datori di lavoro, insomma, sono avvertiti; i compensi forfetari per l’eventuale lavoro straordinario potrebbero essere considerati voci superminimali (e pure non assorbibili) ove tali erogazioni non trovino stretta corrispondenza con lo svolgimento di effettive prestazioni di lavoro straordinario.