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Proroga e rinnovo dei contratti a termine: la deroga alle causali del decreto “Rilancio” tra dubbi e incertezze

29 Maggio 2020

Come noto, il DL Rilancio, entrato in vigore lo scorso 19 maggio, è (sia pure timidamente) intervenuto anche in materia di contratti a termine prevedendo, all’art. 93, recante “Disposizione in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine” che “1. In deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020, anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

La formulazione della norma, come già evidenziato nel precedente intervento del 20 maggio u.s. presenta non poche criticità interpretative, la cui portata fa sorgere numerosi dubbi in merito all’utilità di tale disposizione che, stante il suo tenore letterale, sembra avere più l’aspetto di una “trappola” che di una reale opportunità per i datori di lavoro e per i lavoratori già provati dall’emergenza sanitaria in corso.

Ed infatti, se è vero che il decreto introduce la possibilità di prorogare e/o rinnovare (ma non stipulare per la prima volta) i contratti a termine in maniera a-causale (ovvero, senza dover necessariamente indicare una delle causali giustificative introdotte dal cd decreto dignità), è altrettanto indiscutibile che tale facoltà è accompagnata da limiti talmente stringenti da circoscriverne eccessivamente l’ambito di applicazione.

Al riguardo, corre l’obbligo di evidenziare che, in assenza di precisazioni e/o chiarimenti ministeriali ed in attesa di eventuali modifiche in sede di conversione, di tale norma si impone, in un’ottica prudenziale, una interpretazione estremamente restrittiva, ciò al fine di evitare che le imprese vengano esposte al(l’ulteriore) rischio di vedersi travolte da un enorme contenzioso giudiziale a causa delle difficoltà interpretative della norma, e dunque dalla possibile “conversione” a tempo indeterminato dei rapporti a termine prorogati e/o rinnovati in questa fase.

E così, in tale prospettiva, sembra potersi affermare che:

– i datori di lavoro potranno avvalersi di tale facoltà esclusivamente per far fronte al “riavvio delle attività” con la conseguente esclusione delle imprese che non abbiano subìto uno “stop” dell’attività produttiva, ma solo una mera riduzione; naturalmente, tale precisazione impone che i datori di lavoro che intendano prorogare e/o rinnovare il contratto debbano indicare, nel testo contrattuale, le ragioni per le quali essi rientrano nell’ambito di applicazione soggettivo della norma;

– la deroga alle causali è limitata alle proroghe e/o ai rinnovi di contratti a termine già in essere alla data del 23 febbraio 2020, pertanto non sarà applicabile ai contratti stipulati successivamente o già scaduti prima di tale data;

– il 30 agosto 2020 dovrà intendersi come data di cessazione del rapporto di lavoro, e non come termine entro il quale effettuare l’ultimo rinnovo e/o proroga;

– la deroga concerne esclusivamente l’obbligo di indicazione delle causali giustificative – stante il riferimento alle condizioni di cui all’art. 19, co. 1 del d.lgs 81/15 – e non anche la durata complessiva del rapporto di lavoro a termine (24 mesi) prevista, in caso di proroga e/o rinnovo, dagli artt. 19 co. 2 e 21 co. 2 del d.lgs. 81/15;

– non sarà consentito derogare al numero massimo di proroghe (4) né al limite numerico previsto per il ricorso al contratto a termine (pari al 20%, salve diverse previsioni contrattuali), non previste dal citato art. 19, co. 1;

– dovrà essere rispettato, in caso di rinnovo del contratto, il periodo di interruzione tra un contratto e l’altro previsto dall’art. 21, co. 2 (10 giorni in caso di contratto di durata iniziale inferiore a 6 mesi, 20 giorni in caso di contratto di durata iniziale superiore a 6 mesi).

Nonostante l’assenza di ogni e qualsivoglia riferimento, nel suddetto art. 93, ai contratti di somministrazione a tempo determinato, sembra potersi sostenere, stante il richiamo espresso dell’art. 34 del d.lgs 81/15 alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, che tale diposizione debba ritenersi applicabile anche alla somministrazione a termine, fatte salve le esclusioni ivi individuate (artt. 21, co. 2, 23 e 24 del citato decreto legislativo).

Pur permanendo il timore che la disposizione in commento si risolva in un’“occasione mancata” per aiutare le imprese ed i lavoratori in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria, si auspica che in sede di conversione il legislatore tenga conto delle numerose istanze e perplessità sollevate da più parti, adeguando gli interventi normativi alle effettive esigenze del settore lavorativo, sempre che non sia troppo tardi.

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