11 Gennaio 2013
Con il recente decreto del 20 dicembre 2012, il Ministero del Lavoro è intervenuto, precisando quali sono gli ordini professionali, gli elenchi, i ruoli o i registri, l’iscrizione ai quali è idonea ad escludere l’applicazione della presunzione di cui all’art. 69-bis, d.lgs. 276/2003.
Come già precisato in precedenti note, infatti, la suddetta disposizione – introdotta dalla c.d. Riforma Fornero (l. 92/2012) – prevede che le prestazioni rese da persone titolari di partita iva (c.d. libero professionisti) siano considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti: a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi; b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi; c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Per effetto di tale presunzione, in caso di ricorrenza di almeno due dei suddetti presupposti, opererebbe una inversione dell’onere della prova e, pertanto, in occasione di controversie o di accessi ispettivi, i singoli committenti dovrebbero fornire la prova non solo dell’autonomia del rapporto, ma anche dell’assenza di coordinamento.
Ed infatti, laddove non fosse possibile dimostrare anche tale ultimo aspetto, il rapporto verrebbe considerato una collaborazione coordinata e continuativa senza progetto, con conseguente trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato, per effetto dell’art. 69 del d.lgs. 276/2003.
Come già precisato in passato, tale previsione non trova applicazione nei confronti delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, atteso che tali professioni sono escluse dal campo d’applicazione dell’intero Capo I, Titolo IV, della Riforma Biagi.
Inoltre, il citato art. 69-bis, stabilisce che il regime sopra descritto non trovi applicazione qualora la prestazione resa: a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività; b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
In aggiunta a tale esclusione, inoltre, l’articolo 69-bis cit. prevede che la presunzione in questione non operi con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richieda l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detti specifici requisiti e condizioni.
Tale formulazione poteva apparire più ampia rispetto a quella utilizzata dall’art. 61 del d.lgs. 276/2003 (“professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”), tanto da indurre alcuni commentatori a ritenere che fossero incluse nel novero delle professioni sopra indicate, anche quelle riabilitative prive di albo professionale (ad esempio: i fisioterapisti).
Il Ministero del Lavoro, invece, mediante il decreto in esame, ha adottato una nozione restrittiva del concetto di “ordini, collegi, registri, albi, ruoli o elenchi professionali”, intendendo per tali solamente “quelli tenuti o controllati da una Amministrazione Pubblica di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché da federazioni sportive, in relazioni ai quali l’iscrizione è subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento dell’attività”; non è, inoltre, sufficiente ad escludere la presunzione in questione la semplice iscrizione, con efficacia dichiarativa, al Registro delle Imprese.
Il medesimo decreto, inoltre, contiene un elenco esemplificativo degli enti con le caratteristiche sopra delineate, tra i quali – per ciò che attiene le esigenze delle strutture sanitarie – figurano solamente gli ordini professionali dei chimici, medici, dei farmacisti, dei biologi, degli assistenti sociali, nonché i collegi degli infermieri, delle ostetriche e dei tecnici di radiologia.
Al riguardo, si rileva che tutti gli ordini e i collegi sopra indicati gestiscono albi professionali riconosciuti dalla vigente normativa e, pertanto, nei confronti degli iscritti agli stessi (medici, psicologi, etc.) già non operava la presunzione di cui all’art. 69-bis cit., in ragione della totale esclusione contenuta nel precedente articolo 61.
Di conseguenza, appare evidente che il decreto in questione, almeno per ciò che attiene alle strutture sanitarie, non faccia che confermare il regime previgente, confermando l’esclusione dalla suddetta disciplina solo per coloro che risultino iscritti agli albi professionali.
Resta ferma, tuttavia, la possibilità di stipulare contratti libero professionali totalmente autonomi (senza coordinamento) con i professionisti sanitari e della riabilitazione (fisioterapisti, educatori professionali, etc.) che – a prescindere dall’iscrizione in un albo professionale – risultino titolari di un reddito annuo lordo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali (e cioè, per il 2012, non inferiore ad euro 18.662,50).
Ed infatti, il Ministero del Lavoro – con circolare n. 32 del 27 dicembre 2012 (la quale sarà analiticamente esaminata con nota successiva) – ha chiarito che costituiscono prestazioni connotate da elevate competenze o da significativi percorsi formativi ai sensi dell’art. 69-bis cit., tutte quelle attività che, in via alternativa: a) richiedano il possesso di un titolo di studio (diploma di scuola superiore o di formazione professionale, laurea o titoli superiori) o di una qualifica ottenuta all’esito di un periodo di apprendistato; b) siano rese da un professionista in possesso di una qualifica o di una specializzazione conferita (secondo le disposizioni dei ccnl di riferimento) da un datore di lavoro, a seguito di una esperienza lavorativa di almeno 10 anni.
Si rammenta, tuttavia, la necessità che la collaborazione dei professionisti in questione (non iscritti ad albi professionali) non sia caratterizzata dal requisito del coordinamento, atteso che – in caso contrario – comunque opererebbe la presunzione di subordinazione di cui all’art. 69 della Riforma Biagi.