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Presunzione di subordinazione per i fisioterapisti in regime libero professionale

25 Luglio 2014

Il Ministero del Lavoro, mediante la recente risposta ad interpello n. 16/2014, è tornato sulla tematica della nuova presunzione di subordinazione introdotta dalla Riforma Fornero (l. 92/2012) per i lavoratori operanti in regime libero professionale (c.d. Partite Iva) ed ha, in particolare, precisato che la stessa non trova applicazione nei confronti dei fisioterapisti che operino in regime libero professionale, a condizione che gli stessi siano iscritti in appositi elenchi eventualmente previsti dalla normativa regionale.

Come già precisato in precedenti news, l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza l’individuazione di uno specifico progetto (nonché, prima della l. 92/2012, di un programma di lavoro o di una fase di esso) è stata vietata dal legislatore sin dalla c.d. Riforma Biagi (d.lgs. 276/2003).
L’art. 69 del citato decreto legislativo, infatti, dispone che – salvo per i casi specificamente indicati dall’art. 61 del medesimo decreto (lavoratori iscritti ad albi professionali, lavoratori titolari di pensione di vecchiaia, c.d. mini co.co.co., etc.) – i contratti di co.co.co., ove siano stipulati con modalità diverse da quelle del lavoro a progetto, siano “considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.
Tale presunzione è applicabile non solo ai (rari) casi in cui il rapporto di lavoro sia espressamente qualificato come “collaborazione coordinata e continuativa”, ma anche qualora le parti abbiano stipulato un contratto libero professionale che tuttavia, nella sostanza, si svolga sotto il coordinamento del committente.

Per i contratti stipulati dopo il 18 luglio 2012, peraltro, la suddetta presunzione è assoluta, essendo ciò stato espressamente precisato dall’art. 1, comma 24, l. 92/2012 (cfr. App. Milano, 14 maggio 2013).
Tuttavia, la previgente normativa non forniva alcuna indicazione al fine di distinguere i rapporti di lavoro autonomo tout court (libero professionali) da quelli che – pur condividendo la natura autonoma – assumevano però le caratteristiche proprie delle co.co.co.
La Riforma Fornero, pertanto, è intervenuta a colmare tale lacuna con la finalità di evitare un uso “distorto” dei contratti di lavoro libero professionale.
E così, la predetta Riforma ha aggiunto l’art. 69-bis al citato d.lgs. 276/2003, il quale prevede che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di Partita Iva sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (e, quindi, in assenza di un progetto, rapporti di lavoro subordinato), qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
a)  che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b)  che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
c)  che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

Il medesimo art. 69-bis, tuttavia, esclude l’applicabilità di tale presunzione (relativa) qualora la prestazione sia connotata da competenze teoriche di grado elevato e sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte minimale contributivo (e cioè, nel 2014, non inferiore ad euro 19.395).
Secondo quanto precisato dal Ministero del Lavoro con circolare n. 32/2012, le suddette condizioni (prestazioni di grado elevato e reddito non esiguo) devono sussistere entrambe in capo al lavoratore.
Inoltre, la presunzione in questione non trova applicazione nei casi in cui le prestazioni siano svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni.
Secondo quanto chiarito dal d.m. del 20 dicembre 2012, poi, gli ordini/registri/elenchi che determinano l’esclusione di cui sopra “sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una amministrazione pubblica di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001 nonché da federazione sportive” e che, inoltre, prevedano obbligatoriamente per l’iscrizione il “superamento di un esame di stato o comunque (…) [una] valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento delle attività”.

Ciò posto, mediante la citata risposta ad interpello, il Ministero del Lavoro ha esaminato la possibilità di far rientrare in tale ultima categoria le prestazioni rese dai fisioterapisti all’interno delle strutture sanitarie e socio-sanitarie.
A tal fine, il suddetto Dicastero ha evidenziato come lo svolgimento dell’attività in questione sia subordinato al possesso di uno specifico titolo universitario, il quale “costituisce, inoltre, requisito indispensabile ai fini dell’iscrizione negli elenchi professionali dei fisioterapisti, laddove istituiti con legge regionale (cfr. ad es. Legge Regione Lazio n. 17 /2002)”.
Secondo il parere ministeriale, pertanto, l’attività svolta dai fisioterapisti può essere ricompresa nell’ambito delle prestazioni professionali escluse di per sé dall’applicazione della presunzione in questione nella misura in cui i professionisti risultino in possesso del diploma abilitante e siano iscritti in un apposito elenco professionale previsto dalla normativa regionale.
Tale interpretazione, tuttavia, suscita non poche perplessità, in quanto, in primo luogo, la normativa regionale non può individuare nuove condizioni per l’esercizio di una attività professionale.
A ben vedere, infatti, anche l’iscrizione agli elenchi previsti dalla l.r. 17/2002 – tenuti dalle Aziende Sanitarie Locali della Regione Lazio – non pare costituire un requisito per lo svolgimento, sul territorio regionale, delle attività di fisioterapia.
Di contro, ai fini dell’esclusione dell’applicabilità della presunzione di cui all’art. 69-bis citato è necessario che l’ordinamento richieda (e non, semplicemente, proponga) l’iscrizione ad uno specifico elenco.

Inoltre, risulta che la maggioranza delle Regioni italiane non abbia previsto, almeno formalmente, alcun elenco dei fisioterapisti e, pertanto, tale esclusione opererebbe solamente in alcuni ambiti territoriali, con evidente discriminazione dei professionisti operanti al di fuori degli stessi.
Alla luce di quanto sopra, sull’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro non possono che esprimersi forti perplessità.
Cionondimeno, resta fermo che le prestazioni professionali rese dai fisioterapisti sono connotate da competenze teoriche di grado elevato e, pertanto, a prescindere dall’iscrizione in appositi elenchi regionali, deve ritenersi che la presunzione di cui all’art. 69-bis cit. non operi qualora il lavoratore sia titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore, nel 2014, ad euro 19.395.

Infine, per completezza, si rammenta che, in ogni caso, in assenza di un progetto, i fisioterapisti (al pari di tutti gli altri operatori non iscritti ad albi professionali o, comunque, non rientranti nell’area di esclusione dalla disciplina del lavoro a progetto) devono operare senza il coordinamento del committente.
Ed infatti,  anche per tali professionisti – a prescindere dalla sussistenza e dell’applicabilità degli indici individuati dall’art. 69-bis – opera la previsione secondo cui la sussistenza del coordinamento fa presumere che il rapporto, in realtà, “nasconda” un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

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