19 Gennaio 2016
La disciplina della prescrizione dei crediti di lavoro (con riferimento allo specifico profilo della decorrenza) – già oggetto della precedente nota del 20 febbraio 2003 – risulta di rinnovato interesse alla luce del dibattito dottrinario e giurisprudenziale sviluppatosi a seguito della complessa opera di revisione normativa apportata al regime delle tutele di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dapprima dalla Riforma Fornero (legge n. 92/2012) e, successivamente, dal decreto legislativo n. 23/2015 (c.d Jobs Act).
Il dibattito sull’impatto delle citate modifiche normative sul regime della prescrizione – invero già sorto in dottrina – si è ulteriormente intensificato a seguito della recentissima sentenza n. 3460 emessa in data 16 dicembre 2015 dal Tribunale di Milano.
In particolare l’organo giudicante – in relazione al ricorso promosso da un gruppo di lavoratori al fine di ottenere il riconoscimento di differenze retributive maturate a partire dal mese di luglio 2007 – ha rigettato l’eccezione datoriale di prescrizione, sostenendo che a partire dal 18 luglio 2012 (ossia, dal giorno di entrata in vigore della Riforma Fornero), anche nelle aziende sottoposte all’applicazione dell’art. 18 St. Lav., il termine di prescrizione quinquennale dei crediti retributivi decorra solo a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro (e non invece in costanza di esso).
In particolare il giudice meneghino ha affermato che “… si deve prendere atto dell’entrata in vigore dal 18/7/12 della legge n. 92/12 che ha modificato la tutela reale di cui all’art. 18 SL, prescrivendo al comma cinque di tale norma, delle ipotesi nelle quali, anche a fronte di un licenziamento illegittimo, la tutela resta solo di tipo indennitario, senza possibilità di reintegrazione, in modo analogo che nella tutela obbligatoria (seppur con importi risarcitori maggiori). Sicché si deve ritenere che da tale data i lavoratori, pur dipendenti da azienda sottoposta all’art. 18 SL, potessero incorrere – per la durata della relazione lavorativa – nel timore del recesso nel far valere le proprie ragioni, a fronte della diminuita resistenza della propria stabilità (cfr. C. Cost. n. 63 del 1966 …)”.
In sostanza con la pronuncia in commento si assiste, di fatto, ad un capovolgimento degli approdi giurisprudenziali formatisi ante Riforma Fornero (per effetto di alcune storiche sentenze della Corte Costituzionale risalenti agli anni 60 – 70), in virtù dei quali il termine di decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro era certamente differenziato in base al regime di tutela applicabile al rapporto di lavoro, ma tale accertamento era effettuato sulla base del solo requisito oggettivo del livello occupazionale dell’azienda, e precisamente: per i dipendenti in regime di tutela reale (con reintegrazione nel posto di lavoro) la prescrizione decorreva anche in costanza di rapporto, mentre per quelli soggetti alla tutela obbligatoria il suddetto termine di prescrizione rimaneva congelato sino alla cessazione del rapporto stante il rischio che tali lavoratori fossero indotti a non esercitare le proprie pretese economiche per il timore di essere licenziati “per ritorsione”.
Tale capovolgimento è da attribuirsi sostanzialmente alla considerazione che l’art. 18 St. Lav. non è più idoneo a garantire un sistema di tutela (quale quello precedentemente offerto dalla stabilità reale) che, nel sistema elaborato dalla citata giurisprudenza della Corte Costituzionale, permetteva al lavoratore di esercitare le proprie pretese creditorie sin da subito, senza il timore di essere esposto ad ulteriori ed illegittimi provvedimenti datoriali di carattere espulsivo.
Peraltro nella sentenza in argomento – anche al fine di sostenerne la continuità con la giurisprudenza pregressa, nonostante in ogni caso la portata innovativa delle conclusioni cui approda – si legge che: «In tale ottica, del resto, costituisce già orientamento giurisprudenziale quello per cui: “la decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica di “metus” del lavoratore e non già alla stregua della diversa normativa garantista che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse stato pacificamente riconosciuto dalle parti fin dall’inizio come avente le modalità che il giudice, con un giudizio necessariamente “ex post”, riconosce, applicando, quindi, la relativa disciplina legale” (cfr., ad es., Cass. sentenza n. 23227 del 13/12/2004; sentenza n. 20987 del 29/10/2004; sentenza n. 11793 del 06/08/2002) ».
La conclusione a cui si giunge con tale pronuncia è che, nel caso di diritti retributivi sorti anteriormente al 18 luglio 2012, sarà necessario adottare un sistema di calcolo, per così dire, “misto”, in virtù del quale la prescrizione decorre regolarmente fino a tale data (18 luglio 2012), per essere poi sospesa successivamente ad essa e fino alla data di cessazione del rapporto lavorativo (momento a partire dal quale tornerà nuovamente a decorrere per l’eventuale residuo periodo dell’originario termine quinquennale).
A ciò si aggiunga che – sebbene la pronuncia in esame faccia riferimento esplicito alle sole novità normative introdotte dalla Riforma Fornero – è piuttosto prevedibile che il principio del “congelamento della decorrenza della prescrizione fino alla conclusione del rapporto lavorativo” troverà, a maggior ragione, applicazione (nonché formale consacrazione in future pronunce della magistratura di merito) rispetto ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, ossia quelli soggetti al sistema delle tutele crescenti introdotto dal Jobs Act, per il quale le ipotesi di reintegra risultano essere ancor più residuali.
In conclusione non manca in dottrina chi ha già avuto modo di osservare come – sotto il profilo dei costi economici aziendali – le recenti riforme se, da un lato, hanno notevolmente ridimensionato le garanzie previste in caso di licenziamento illegittimo (con l’attenuazione della tutela reale), dall’altro, consentiranno (o quantomeno potrebbero consentire) una riviviscenza di pretese economiche che, di contro, sarebbero state da considerarsi prescritte.