18 Ottobre 2022
La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha espresso il principio secondo il quale è sanzionabile con il licenziamento il lavoratore che, durante i permessi retribuiti per motivi sindacali, si dedichi ad altre attività personali del tutto estranee a quelle previste dalle norme contenute nello Statuto dei Lavoratori (l. n. 300/70).
In particolare, tale principio è stato ribadito nella pronunzia n. 4943/2019, con la quale gli Ermellini hanno giudicato il caso di un lavoratore che durante i permessi retribuiti ex art. 30 dello Statuto dei Lavoratori si era dedicato ad attività ricreative personali, senza alcun collegamento con i permessi ottenuti e, soprattutto, non partecipando alle riunioni degli organi direttivi dell’organizzazione sindacale per cui aveva ottenuto i permessi in questione.
Ancora più di recente la Suprema Corte, con la sentenza n. 26198 del 6 settembre 2022, ha avuto nuovamente modo di esaminare tale problematica in merito ad un contenzioso incardinato da un lavoratore che era stato licenziato per aver utilizzato per scopi personali una giornata di permesso sindacale ex art. 30 della legge 300/1970.
Il lavoratore si è difeso in maniera singolare, eccependo che la fattispecie sottoposta all’esame dei giudici poteva ricondursi all’ipotesi dell’assenza ingiustificata dal lavoro che – essendosi limitata ad una sola giornata – poteva (rectius, doveva) essere punita con una sanzione conservativa in ossequio alle previsioni del ccnl di riferimento, il quale sanziona con il licenziamento solo la diversa ipotesi dell’assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni.
Ebbene, i giudici di legittimità hanno valutato che, nella condotta del dipendente, veniva in rilievo non già la mera assenza dal lavoro (che, effettivamente, si era limitata ad una sola giornata) ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris, rappresentato dall’impiego del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali, il quale – a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del lavoratore – escludeva la riconducibilità della condotta alle richiamate norme collettive che punivano con la sanzione conservativa l’assenza dal lavoro inferiore ai cinque giorni.
Pertanto, l’uso improprio del permesso sindacale ha attribuito alla condotta del lavoratore quella gravità tale da giustificare pienamente la legittimità del licenziamento, con la conseguenza che ogni doglianza dell’ex dipendente è stata respinta.
In definitiva, si può affermare che la giurisprudenza si sta sempre più irrigidendo con riguardo alle gravi conseguenze che – sul piano disciplinare – può comportare l’abuso di un diritto che il legislatore prevede con finalità specifiche (si pensi anche all’utilizzo improprio dei permessi c.d. “104”) mancando le quali il beneficio di legge non ha ragione di essere.