19 Dicembre 2014
L’art. 33, 3° comma, della legge n. 104/92 (così come successivamente modificata dalla legge 183/2010 e dal D.lgs. n. 119/2011) prevede il diritto dei lavoratori pubblici o privati di assistere un familiare affetto da handicap grave «coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti…».
Dunque, diversamente rispetto al passato, quando il diritto ad assistere parenti ed affini entro il terzo grado non era condizionato dalla ricorrenza di particolari presupposti, l’attuale previsione legislativa, con riferimento a tale categoria di familiari, ha circoscritto la legittimazione alla fruizione dei permessi de quibus alla sussistenza delle ipotesi sopra descritte.
Pur tuttavia, la formulazione della norma come sopra riportata lasciava spazio ad alcune perplessità ed, in particolare, al dubbio se – con riferimento ai parenti ed affini di terzo grado (ad esempio, bisnonno/a, nipote o zio/zia) – fosse richiesta quale condizione legittimante l’utilizzo dei permessi in questione la sola condizione prescritta dalla legge, oppure che fosse in ogni caso necessario che non sussistessero, all’interno del nucleo familiari, parenti o affini di primo e secondo grado in condizioni di prestare la necessaria assistenza.
A riguardo il Ministero del lavoro, con l’interpello n. 19 del 26 giugno 2014, rispondendo ad un’apposita istanza in tal senso ha definitivamente chiarito che, nei casi di assistenza ai parenti ed affini entro il terzo grado, a nulla rileva «in quanto non richiesto [dalla norma, n.d.r.] il riscontro della presenza nell’ambito familiare di parenti o affini di primo e secondo grado» ed ha aggiunto, per di più, che i lavoratori possono fruire dei permessi in argomento anche quando le condizioni descritte dalla legge si riferiscano ad un solo dei soggetti menzionati dalla norma (come dimostrato dal fatto che il legislatore utilizzi la disgiuntiva “o”).
A parere del Ministero, infatti, una diversa interpretazione finirebbe per restringere eccessivamente, nei confronti dei parenti e affini entro il terzo grado, la platea dei soggetti in grado di prestare assistenza.
Di conseguenza, alla luce di tali precisazioni ministeriali, l’art.33, 3° comma, della legge n.104/92 deve essere letto nel senso che al fine di consentire la fruizione dei permessi in argomento ai parenti o affini entro il terzo grado è sufficiente dimostrare unicamente che il coniuge o i genitori della persona con handicap grave si trovino in una delle condizioni specifiche stabilite dalla legge, senza che sia necessario effettuare alcun’ altra indagine sulla sussistenza, nell’ambito familiare, di altri parenti o affini di grado più prossimo che siano capaci ed in condizioni di prestare assistenza.
Quanto sopra, evidentemente, conferma ancora una volta quanto già chiarito dall’INPS con circolare n.90/2007, secondo la quale la persona con disabilità grave può liberamente effettuare la scelta su chi, all’interno della stessa famiglia, debba prestargli l’assistenza prevista dalla legge.