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Per la pensione la cessazione del rapporto di lavoro deve essere effettiva.

14 Giugno 2019

Con la sentenza n. 14417/2019 del 27 maggio u.s. la Cassazione ha affrontato l’interessante caso di un lavoratore dimessosi dalla propria azienda per aver maturato i requisiti necessari all’accesso della pensione di anzianità, salvo poi farsi riassumere il giorno successivo alle medesime condizioni contrattuali.

Ebbene, secondo i giudici di Piazza Cavour, nella fattispecie presa in esame si realizzerebbe una vera e propria “presunzione di simulazione dell’effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento”.

La vicenda nasce da un contenzioso innescatosi tra l’Inps ed un lavoratore, come detto, dimessosi dalla propria azienda il 28 febbraio e riassunto il 1° marzo successivo. Tuttavia, con effetto proprio dal giorno della nuova assunzione veniva liquidata anche la pensione di anzianità.

A fronte di tale particolare modalità di risoluzione del rapporto l’Inps provvedeva successivamente a revocare al lavoratore il trattamento pensionistico riconosciuto ritenendo che nel caso di specie l’intervenuta risoluzione non potesse considerarsi “effettiva” essendo stato il lavoratore riassunto, dal medesimo datore ed alle medesime condizioni contrattuali, il giorno immediatamente successivo alle dimissioni presentate.

Ne nasceva quindi un contenzioso volto proprio all’accertamento del diritto a poter fruire del trattamento pensionistico revocato.

Il Tribunale di Verona, in prima battuta, sul presupposto che non vi fosse stata alcuna soluzione di continuità tra il precedente rapporto di lavoro ed il successivo, respingeva la domanda di accertamento avanzata dall’interessato.

Secondo il Tribunale, difatti, nel caso di specie sarebbe venuto meno il requisito della “inoccupazione” che come noto, dovrebbe necessariamente sussistere al momento della domanda di pensione di anzianità.

Di diverso avviso la Corte di Appello di Venezia la quale, investita della questione, provvedeva a riformare tale sentenza ritenendo, di contro, sussistente il requisito dell’effettiva cessazione del rapporto necessario ai fini dell’ottenimento del trattamento pensionistico in questione.

Ad avviso della Corte di merito, infatti, l’effettiva cessazione del rapporto doveva ritenersi provata sia in ragione dell’avvenuta corresponsione del TFR, sia dall’esame dei prospetti paga prodotti in giudizio.

Inoltre, sempre secondo la ricostruzione della normativa operata dai giudici di secondo grado, la sottoscrizione di un nuovo contratto tra le parti il primo giorno di pensionamento non era da ritenersi contrario alla legge, non essendo previsto neppure dagli interventi ministeriali in materia, l’obbligo di rispettare un lasso di tempo minimo tra la cessazione del rapporto di lavoro ed il suo successivo ripristino.

Avverso tale pronuncia ricorreva per Cassazione l’Inps.

Ebbene, i giudici di legittimità, nel ripercorrere l’evoluzione normativa relativa ai requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia hanno accolto le domande dell’ente offrendo una peculiare ricostruzione dell’intera normativa in materia, la quale muove comunque dal fondante principio per cui l’accesso al trattamento pensionistico è sempre subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro ed alla conseguente effettiva cessazione di ogni attività lavorativa.

Un’effettiva cessazione del rapporto che, secondo gli Ermellini, andrebbe quindi interpretata alla stregua di una “presunzione di bisogno che giustifica ai sensi dell’art. 38 della Costituzione l’erogazione della prestazione sociale”.

È, quindi, muovendo da un simile principio che la Corte ha ribadito che per conseguire il diritto al trattamento pensionistico è necessario che al momento della richiesta della pensione di anzianità e della decorrenza della stessa sussista una certa discontinuità fra i successivi rapporti di lavoro, e, ciò, proprio al fine scongiurare che la percezione della pensione avvenga contemporaneamente allo svolgimento dell’attività lavorativa in corso.

Stando a tale principio, pertanto, sarebbe stato opportuno che, differentemente da quanto avvenuto, il lavoratore avesse stipulato il successivo contratto di lavoro dopo un periodo di tempo sufficientemente distante dalla cessazione del precedente rapporto di impiego.

Per la Cassazione, che ha quindi accolto il ricorso promosso dall’Inps, infatti “Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest’ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato” atteso che, al riguardo, “…deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di tale rapporto ove essa sia eseguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro”.

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