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Patto di prova nullo: nessuna reintegra per i “nuovi” assunti

20 Settembre 2023

Con la sentenza n. 20239/2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che – nei rapporti di lavoro a tutele crescenti – il licenziamento intimato a seguito di un patto di prova nullo comporta unicamente la tutela indennitaria, escludendo a priori la possibilità della reintegra del lavoratore, che si applica – invece – ai rapporti di lavoro ancora disciplinati dall’art. 18 Stat. Lav.

Nel caso de quo, i giudici di merito hanno ritenuto nullo il patto di prova apposto al contratto della ricorrente a causa della mancata specificazione delle concrete mansioni alle quali la stessa era stata adibita, nonchè del profilo professionale attribuitole.

Appurata l’illegittimità del patto, i giudici hanno dovuto affrontare il problema relativo alla tutela applicabile in caso di licenziamento con patto di prova nullo, ritenendo adottabile, nei confronti della lavoratrice, la sola tutela risarcitoria.

L’avvento del c.d. “Jobs Act” ha infatti modificato la precedente disciplina sul licenziamento, prevedendo la condanna del datore alla reintegra del lavoratore nei soli casi di illegittimo licenziamento per giustificato motivo o giusta causa di cui sia direttamente dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato.

Fino ad un recente passato la giurisprudenza maggioritaria riteneva che, in caso di licenziamento con patto di prova ritenuto nullo, dovesse applicarsi la reintegra del dipendente licenziato, in quanto l’insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo sarebbe stata da rinvenire direttamente nella nullità stessa del patto (cfr. Trib. Milano n. 2912/2016 e Trib. Torino n. 1501/2016).

Recentemente, invece, altre Corti hanno colto nella riforma del 2015 uno spunto di diversificazione che ha portato ad un cambio di rotta, fino alla sentenza della Cassazione in commento, che ha escluso la possibilità di reintegrare il lavoratore, assunto

 con contratto a tutele crescenti, nel caso di recesso durante il periodo di prova, il cui relativo patto sia dichiarato nullo.

In proposito, la Corte ha precisato come il patto di prova, costituendo clausola accessoria, in caso di nullità deve considerarsi come tamquam non esset, così da lasciare intatte le restanti parti del contratto, che prosegue nella sua validità.

Si costituisce, dunque, un rapporto di lavoro che non permette il recesso ad nutum ammesso nel periodo di prova e, conseguentamente, il licenziamento intimato dal datore di lavoro deve essere annoverato nella disciplina del recesso per giusta causa o giustificato motivo.

A parere della Suprema Corte, nel sistema introdotto dal d.lgs. 23/2015, la concreta fattispecie non potrà essere ricondotta nell’ambito delle nullità di recesso disciplinate dall’art. 2 del citato decreto, essendo tale norma applicabile esclusivamente “all’ipotesi di licenziamento discriminatorio e agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”.

Esclusa l’applicazione dell’art. 2, la Corte ha conseguentemente esaminato l’art. 3 del  Jobs Act, al fine di verificare la tutela applicabile al caso di specie.

La Cassazione ha rilevato come, nel nuovo impianto normativo, la tutela reintegratoria assuma un carattere meramente residuale, essendo applicabile solo alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (art. 3, comma 2).

Ne consegue dunque che il recesso ad nutum intimato senza un valido patto di prova, non essendo riconducibile ad alcuna delle specifiche ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 3 sopra citato, è da ritenersi assoggettato alla regola generale della tutela indennitaria di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. 23/2015.

Diverso è invece il caso dei “vecchi” assunti, in quanto l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori continua a prevedere il meccanismo della reintegra in entrambe le fattispecie di licenziamento, sia disciplinare sia oggettivo, e, pertanto, nel caso di patto di prova nullo continuerà ad applicarsi la tutela reale in luogo di quella indennitaria.

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