29 Ottobre 2019
La Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 22928 del 13 settembre 2019, affronta la delicata questione relativa alla possibilità di computare o meno nel periodo di comporto il congedo straordinario ex art. 42 comma 5 e ss. del d.lgs 151/2001, nel caso in cui venga autorizzato dall’INPS senza che il datore di lavoro ne avesse avuto conoscenza.
Il caso sottoposto all’esame dei Giudici di legittimità riguardava un dipendente licenziato per aver superato il periodo di comporto, il quale in primo grado era riuscito ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la conseguente reintegra, fondando la propria linea difensiva sulla circostanza che l’azienda datrice di lavoro aveva errato nel conteggiare i giorni del periodo di comporto perché non aveva provveduto a scomputare dagli stessi quelli goduti a titolo di congedo straordinario per assistere un familiare disabile, avendo ottenuto l’autorizzazione alla fruizione del beneficio da parte dell’Ente previdenziale senza che avesse però comunicato (durante il periodo di malattia) l’istanza anche al datore di lavoro.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a verificare la correttezza della decisione di secondo grado che, in riforma della suddetta sentenza favorevole al lavoratore, aveva ritenuto che dal periodo di comporto non potesse scomputarsi quello del congedo straordinario richiesto, ai sensi del d.lgs. n. 151 del 2001, al fine di assistere un familiare portatore di grave disabilità, tenuto conto che tale congedo, sebbene autorizzato dall’I.N.P.S., non era stato portato a conoscenza del datore di lavoro.
Gli Ermellini, ritenendo infondati i motivi del ricorso di legittimità, hanno chiarito che il lavoratore ha l’obbligo di presentare la richiesta di congedo straordinario al proprio datore di lavoro, atteso che tale tipo di congedo rientra nell’ampia categoria dei congedi “per eventi e cause particolari” (disciplinati dalla l. n. 53 del 2000 e al D.M. n. 278 del 2000) che impongono una sorta di contraddittorio con il datore di lavoro, il quale a determinate stringenti condizioni potrebbe negare (anche parzialmente) la concessione del permesso o chiederne un rinvio ad altro periodo.
Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che il datore di lavoro dovesse quantomeno essere messo al corrente della richiesta di fruizione del permesso straordinario, atteso che durante il godimento dello stesso, ai sensi di quanto previsto dall’art. 42, comma 5- ter, del d.lgs 151/ 2001 “il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento”, che, pertanto, è solo il datore di lavoro – messo evidentemente a conoscenza della richiesta – a poterla determinare corrispondendola nelle modalità previste dalla citata norma.
Anche in ragione di quanto sopra, la Suprema Corte ha ritenuto che l’istanza di congedo straordinario “non solo deve essere trasmessa all’I.N.P.S. per le verifiche di competenza e in quanto soggetto che subisce l’onere finanziario del congedo, ma anche al datore di lavoro, per l’adozione delle misure organizzative che la richiesta dovesse rendere necessarie e comunque per il compimento, anche nell’interesse del dipendente, delle attività di cui alle disposizioni richiamate”.
In considerazione delle suddette considerazioni i Giudici di Piazza Cavour, prendendo atto che il lavoratore aveva giustificato con certificati di malattia la propria lunga assenza dal posto di lavoro, ha ritenuto che un eventuale mutamento del titolo dell’assenza (fondata appunto sulla fruizione del congedo straordinario) avrebbe dovuto essere tempestivamente comunicata al datore di lavoro, al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, richiamando al riguardo il proprio orientamento espresso in un altro giudizio, sovrapponibile a quello di specie (Cass. n. 8834/2017), riguardante il mutamento del titolo dell’assenza da malattia a ferie.