8 Febbraio 2013
Ad integrazione della nota precedente in tema di tentativo preventivo di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cfr. http://www.studiocostantino.it/archivio-news/riforma-fornero/il-tentativo-preventivo-di-conciliazione-in-caso-di-licenziamento-per-giustificato-motivo-oggettivo), si segnala la recente circolare del Ministero del Lavoro del 16 gennaio 2013, n. 3 in cui vengono forniti importanti chiarimenti ai dubbi che, a seguito della riforma dell’art. 7 l. n. 604/66, si erano posti gli operatori del diritto.
Per mera chiarezza espositiva, si rammenta che, con decorrenza 18 luglio 2012, in base a quanto previsto dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha integralmente sostituito l’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, tutti i datori di lavoro che occupano 15 o più dipendenti nella singola unità produttiva o nel comune ovvero più di 60 nell’ambito del territorio nazionale, sono tenuti ad avviare un’apposita procedura conciliativa davanti alla DTL del luogo in cui il lavoratore presta la propria opera (senza possibilità di scegliere “luoghi” alternativi, ai sensi dell’art. 413 c.p.c.), nel caso in cui intendano recedere dal rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.
A chiarimento della suddetta norma il Ministero, nel ribadire il campo di applicazione della disposizione (su cui invero non vi erano particolari dubbi) fornisce indicazioni dettagliate alle Direzioni Territoriali del Lavoro circa: le motivazioni del licenziamento per cui è obbligatoria la procedura; l’apertura della procedura; il contenuto della comunicazione nonché il ruolo che dovranno svolgere le commissioni di conciliazione.
Per quanto concerne i motivi di licenziamento, la circolare chiarisce che è necessario provvedere alla procedura di conciliazione, oltre che nel caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, anche in quelli di: licenziamento per motivi economici (ristrutturazione di reparti, soppressione del posto di lavoro, esternalizzazione dell’attività – fermo restando che in tali ipotesi le ragioni devono essere ricondotte all’esigenza di sopprimere o ridurre il reparto di lavoro in cui opera il dipendente, comprovando l’impossibilità di adibirlo ad altre mansioni); impossibilità del repechage all’interno dei gruppi di imprese; licenziamento del lavoratore impiegato nel settore dell’edilizia per chiusura del cantiere; provvedimenti di natura amministrativa (quale, per esempio, il ritiro della patente di guida per un pilota o anche la cancellazione dall’albo professionale per un professionista); misure detentive.
Diversamente, la circolare esclude espressamente – come già chiarito dalla Direzione Regionale della Lombardia con nota prot. 12886 del 12 ottobre u.s. – che il tentativo preventivo di conciliazione si applichi ai casi di licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Dopodichè, la circolare del Ministero si sofferma sull’apertura della procedura nonché sul ruolo della commissione, la quale ha il compito di garantire il rispetto dei tempi, di mediare tra le parti e di verbalizzare quanto avvenuto.
La procedura si avvia con la comunicazione (necessariamente per iscritto) del datore di lavoro alla DTL (mediante posta certificata o raccomandata con avviso di ricevimento) la quale deve essere inviata in copia conoscenza anche al dipendente, con l’onere per il datore di lavoro di indicare – qualora ne sia in possesso – il proprio indirizzo di posta certificata.
In proposito, viene chiarito cosa debba intendersi con il termine invero generico di “comunicazione”, precisandosi che la procedura si intende avviata alla data di ricezione della comunicazione da parte della DTL, con ciò intendendosi che il datore di lavoro assolve i suoi doveri informativi nei confronti del lavoratore, semplicemente inviando la comunicazione al domicilio indicato in contratto o a quello successivamente indicato o se consegnata a mani.
Pertanto, i termini per lo svolgimento della procedura devono iniziare a calcolarsi non da quando il lavoratore riceve la comunicazione, bensì da quanto essa sia stata ricevuta dalla DTL competente.
Ciò appare estremamente vantaggioso per i datori di lavoro i quali, diversamente, si sarebbero spesso trovati nelle condizioni di bloccare la procedura, ad esempio, per mancato ritiro della raccomandata da parte del lavoratore, dovendo così attendere i tempi di maturazione della giacenza del plico presso l’ufficio postale.
Ritornando alla procedura, una volta che la DTL riceve la comunicazione del datore, ha l’obbligo di trasmettere la convocazione alle parti nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta, dopo il quale, in assenza dell’invito, il datore può ritenersi libero di recedere.
La procedura si deve concludere entro 20 giorni dal momento in cui la DTL ha trasmesso la convocazione per l’incontro, salvo che le parti non concordino sulla prosecuzione (altrimenti il datore può recedere).
Detto termine di 20 giorni si calcola dalla data di convocazione e, quindi, nei 20 giorni vanno computati anche quelli necessari alla ricezione della lettera raccomandata (con l’invio tramite PEC si eviterebbe ogni problema in merito).
Il Ministero precisa, inoltre, che le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni sindacali cui siano iscritte o abbiano conferito mandato o da un componente la RSA o RSU, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Alla data della convocazione, le parti possono essere presenti di persona o possono farsi rappresentare da un terzo munito di delega (ritenendosi sufficiente o una delega in carta semplice sottoscritta dalla parte rappresenta unitamente alla copia del documento di identità o l’autentica rilasciata dall’avvocato che rappresenta il proprio assistito).
Durante la procedura possono essere esaminate (se possibili) situazioni diverse volte ad evitare la “perdita” del posto di lavoro, distinguibili a seconda che sia mantenuto il posto di lavoro subordinato (operando per esempio una trasformazione a part time, un trasferimento o un distacco, l’adibizione ad altre mansioni) ovvero che ci si rivolga a forme di lavoro autonomo o in cooperativa.
Se la conciliazione non riesce (perché non si trova l’accordo ovvero una delle parti non compare o abbandona le trattative) il datore di lavoro è autorizzato a recedere, fermo restando che la commissione è comunque tenuta a redigere apposito verbale di mancato accordo in cui si dovrà dare atto delle eccezioni sollevate dal lavoratore e dell’eventuale disponibilità del datore di lavoro ad addivenire a soluzioni conciliative. Tale verbale sarà poi valutato dal Giudice, nell’ambito dell’eventuale contenzioso ai fini della determinazione del quantum dell’indennità risarcitoria e delle spese legali.
Se, invece, la conciliazione riesce, viene verbalizzato il contenuto dell’accordo, sia che il posto di lavoro venga mantenuto, sia che sia stata convenuta la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
A tale proposito la circolare chiarisce che: 1) i contenuti della conciliazione sono inoppugnabili ai sensi dell’art. 2113 cod. civ.; 2) la risoluzione consensuale comporta il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e non deve essere ulteriormente convalidata; 3) il verbale deve esplicitare i termini dell’accordo, evidenziando le somme dovute a titolo di differenze retributive, ferie non godute ecc., e indicare separatamente quanto erogato a titolo di “incentivo”.
Per quanto concerne la produzione degli effetti del licenziamento, si ribadisce che il licenziamento intimato a conclusione della procedura conciliativa ha effetto dal giorno in cui la DTL ha ricevuto la comunicazione del datore di richiesta di avvio della procedura (fermo il diritto all’eventuale preavviso residuo), con la precisazione che, come già affermato con la circolare del 12 ottobre 2012, le comunicazioni al Centro per l’Impiego debbano effettuarsi entro i 5 giorni dalla risoluzione del rapporto (sul punto, più approfonditamente, cfr. http://www.studiocostantino.it/archivio-news/riforma-fornero/riforma-fornero-chiarimenti-del-ministero-sulle-comunicazioni-obbligatorie-in-caso-di-cessazione-del-rapporto-di-lavoro).
Da ultimo per quanto concerne, il dubbio relativo alla sospensione del procedimento per infortunio occorso sul lavoro, la circolare precisa che, in tal caso, gli effetti del licenziamento rimangano sospesi e che il periodo di lavoro svolto in costanza della procedura debba considerarsi come preavviso lavorato.
Si rammenta, infine, che l’omessa attivazione della procedura nei casi di licenziamento per motivo oggettivo indicati nella circolare – nel caso in cui il recesso sia comunque giudicato legittimo – comporta il pagamento a favore del lavoratore di un’indennità compresa tra 6 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.