25 Marzo 2016
Come già illustrato con precedente news, lo scorso 12 marzo 2016 è entrata in vigore la nuova procedura telematica per la comunicazione delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro prevista dal d.m. 15 dicembre 2015 nell’ambito del processo di riforma del mercato del lavoro realizzato dal Governo tramite il c.d. Jobs Act.
A partire dalla suddetta data, pertanto, le dimissioni e le risoluzioni consensuali (salvo alcune eccezioni espressamente contemplate dalla legge) devono essere necessariamente presentate in via telematica, con le modalità di cui al suddetto decreto.
Su tale argomento è recentemente intervenuto il Ministero del Lavoro, il quale, con circolare n. 12 del 4 marzo 2016, ha fornito alcune precisazioni circa la suddetta procedura, evidenziando innanzitutto che la stessa è finalizzata non solo ad evitare il fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco” (fenomeno che, a ben vedere, era già stato arginato mediante il meccanismo di convalida previsto dalla l. 92/2012), ma anche a “rendere inefficaci le dimissioni presentate con modalità diverse da quelle previste dalle nuove disposizioni”.
Fanno eccezione rispetto a tale principio generale – e, quindi, possono continuare ad essere effettuate con le consuete modalità – solamente le dimissioni/risoluzioni consensuali presentate o concordate: a) nell’ambito di rapporti di lavoro domestico; b) all’interno di una conciliazione stipulata in una sede protetta; c) durante il periodo di prova; d) durante i primi tre anni di vita del bambino per la madre, ovvero per il padre nei casi in cui lo stesso abbia diritto al congedo di paternità; e) nell’ambito dei rapporti di lavoro marittimo.
La nuova procedura, pertanto – al di fuori delle suddette esclusioni – sostituisce ogni precedente prassi, cosicché oggi le dimissioni (e le risoluzioni consensuali) presentate con modalità diverse da quelle di cui al d.m. 15 dicembre 2015 “sono inefficaci” e, in tal caso, “il datore di lavoro dovrebbe invitare il lavoratore a compilare il modulo nella forma e con le modalità telematiche previste dalla nuova disciplina” (cfr. circ. cit.).
Sul punto, peraltro, la circolare in esame precisa ulteriormente che soltanto con tali modalità il datore di lavoro potrà considerare valide le dimissioni presentate dal lavoratore e considerare risolto il contratto di lavoro e, conseguentemente, presentare entro 5 giorni dalla data di cessazione l’apposita comunicazione telematica.
Al riguardo, si evidenzia come proprio la mancata previsione di sistemi alternativi per la presentazione delle dimissioni o delle risoluzioni consensuali potrebbe comportare, in futuro, alcune difficoltà operative qualora i lavoratori, pur avendo manifestato la propria volontà di cessare il rapporto di lavoro, non intendano seguire l’iter previsto dalla normativa.
In tal caso, la soppressione dell’“invito a convalidare” previsto dalla Riforma Fornero (che rendeva efficaci le dimissioni qualora il lavoratore, pur in assenza di convalida, non le avesse revocate entro 7 giorni dal ricevimento dell’invito datoriale), porrà le strutture in una situazione di impasse, costringendole ad affrontare la problematica attraverso lo strumento del licenziamento per assenza ingiustificata.
E ciò potrebbe costituire proprio il reale intento dei lavoratori, interessati eventualmente ad ottenere una lettera di recesso, al fine di beneficiare dell’indennità di disoccupazione NASpI, con conseguente obbligo per il datore di lavoro di versare il c.d. ticket per il licenziamento (di importo pari a 489,95 euro per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni).
Questo rappresenta un effetto paradossale dell’introduzione della nuova procedura di dimissioni – formalmente finalizzata a conferire alle dimissioni una maggiore certezza – e dell’orientamento recentemente assunto dal Ministero del Lavoro, il quale, con risposte ad interpello n. 29/2013 e n. 13/2015, ha ammesso la possibilità di beneficiare della NASpI (e, prima, dell’ASpI) anche nelle ipotesi di licenziamento disciplinare, ritenendo che in tal caso sussista la condizione di “disoccupazione involontaria” richiesta dalla normativa.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, appare evidente come tale condizione difetti in toto, essendo il lavoratore stesso che – espressamente o per fatti concludenti – comunica al datore di lavoro la propria volontà di cessare il rapporto di lavoro.
Per questo motivo, l’Aris ha presentato un’apposita istanza di interpello, auspicando che il Ministero del Lavoro fornisca precisazioni idonee ad evitare che, a causa di comportamenti non trasparenti dei lavoratori, i datori di lavoro siano obbligati a gravarsi di oneri economici, oltre che del rischio di un eventuale contenzioso.