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Nessun obbligo di repechage in caso di licenziamento del dirigente

14 Aprile 2017

Degna di nota è la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 12 luglio 2016, n. 14193, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento di un dirigente motivato da ragioni organizzative.
Con la suddetta pronuncia, i Giudici di piazza Cavour – nel confermare l’orientamento già espresso con la sentenza n. 3175 dell’11 febbraio 2013 – hanno affermato che l’obbligo di repechage, operante per il personale non dirigente, non trova invece applicazione nei confronti del personale inquadrato con qualifica dirigenziale, nei cui confronti vige il regime della libera recedibilità.
La Cassazione, quindi, ha avuto modo di chiarire che non esiste alcun obbligo di ricollocamento del dirigente una volta cessato il contratto in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale, per la quale vale il principio del libero recesso senza che possano essere richiamati i criteri elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente.
La sentenza in esame si innesta nella consolidata elaborazione giurisprudenziale che recentemente ha tracciato un solco sempre più profondo tra le tutele riconosciute agli operai, impiegati e quadri e quelle (molto più limitate) previste per i dirigenti.
In proposito, la recentissima sentenza della Suprema Corte del 9 marzo 2017, n. 6097, ha affermato che ai dirigenti (anche) convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, sia di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti (vale a dire coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente) non si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti, prevista dall’art. 10 della legge n. 604 del 1966, e le connesse garanzie procedurali di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970.
Proprio su quest’ultimo punto, la suddetta sentenza risulta particolarmente interessante in quanto aderisce ad un passato orientamento giurisprudenziale (superato dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 7889/2007 e da ultimo della Corte di Cassazione 2553/2015) ribadendo l’esclusione dell’applicazione a tutti i dirigenti delle garanzie procedurali di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
In ogni caso, seppure siano condivisibili le conclusioni alle quali perviene la recente pronuncia, sarà opportuno mantenere un atteggiamento prudente continuando ad applicare ai dirigenti le garanzie procedurali previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, anche nelle ipotesi in cui il contratto collettivo di riferimento non lo richieda espressamente (si veda ad esempio il vigente ccnl ARIS-ANMIRS, con riferimento al personale dirigente medico dipendente assunto dopo la ratifica del ccnl) atteso che su tale aspetto – a differenza dell’ormai consolidato principio dell’esclusione dell’obbligo di repechage per i dirigenti – la giurisprudenza non è affatto unanime.

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