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NASPI e dimissioni “mascherate” del dipendente

23 Ottobre 2020

Con la recente sentenza n. 106 del 30 settembre 2020, il Tribunale di Udine ha affermato (per la prima volta) che il lavoratore che, dopo aver comunicato verbalmente le proprie dimissioni, si assenti senza eseguire la procedura telematica di cui all’art. 26 del d.lgs. 151/2015, così di fatto costringendo l’impresa a licenziarlo per motivi disciplinari, è tenuto a risarcire il proprio datore di lavoro della somma dovuta a titolo di ticket di ingresso alla NASPI già pagato dallo stesso (euro 1.469 euro).

Si tratta di una decisione molto importante, atteso che la fattispecie esaminata dal Giudice, pur non potendo qualificarsi come frequente, è comunque tutt’altro che eccezionale.

Non è raro, infatti, che i lavoratori dipendenti – per motivi personali (e, quindi, senza che ricorra una ipotesi di giusta causa) – comunichino la propria intenzione di interrompere il rapporto di lavoro ma, non eseguendo la richiamata procedura on line, rendano dette dimissioni inefficaci.

In tal caso, il datore di lavoro ha due alternative: o attendere che il dipendente receda validamente dal rapporto di lavoro (attraverso il portale del Ministero del Lavoro o per il tramite di un intermediario abilitato) – così però considerando il dipendente in una sorta di “aspettativa non retribuita” ed esponendosi, quindi, al rischio di eventuali rientri in servizio – oppure provvedere al licenziamento del dipendente, con conseguente onere di versare il predetto contributo.

La sentenza in esame afferma un importante principio, punendo il dipendente che ponga in essere un comportamento come quello sopra descritto, al fine di percepire la NASPI.

Si deve sottolineare, tuttavia, che nel caso affrontato dal Tribunale di Udine, il datore di lavoro è riuscito a provare il reale intento del lavoratore, e solo per tale motivo ha ottenuto la condanna di quest’ultimo.

In molti altri casi, invece, non è possibile fornire una simile dimostrazione, ad esempio perché il lavoratore non ha mai esternato, nemmeno verbalmente, la propria reale volontà.

Sarebbe, quindi, opportuno un intervento legislativo che definisca in modo chiaro ed inequivocabile quando il dipendente possa essere considerato dimissionario “per fatti concludenti”, esonerando tale fattispecie dall’obbligo di comunicazione telematica del recesso, ovvero che escluda dal campo d’applicazione della NASPI i licenziamenti per assenza ingiustificata, atteso che in tale ipotesi è davvero difficile qualificare la disoccupazione del lavoratore come involontaria.

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