26 Maggio 2023
Degna di nota è la recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 12132 del 21 maggio 2023, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento comminato per giustificato motivo oggettivo e sulla validità del tentativo, effettuato dal datore di lavoro, di ricollocare il lavoratore in altre mansioni al fine di evitare il recesso.
L’obbligo di repêchage, quale strumento finalizzato a vagliare tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del dipendente divenuto inidoneo alle proprie mansioni ovvero in esubero, costituisce una creazione giurisprudenziale con il tempo recepita anche dal Legislatore.
Da quando, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la nota sentenza n.7755/1998, hanno imposto al datore di lavoro l’obbligo di tentare un reimpiego del lavoratore destinatario di un possibile licenziamento in mansioni diverse da quelle svolte in precedenza così da poter proseguire il rapporto di lavoro, si è frequentemente posto in giurisprudenza il problema relativo ai limiti e le modalità con cui tale tentativo vada concretamente effettuato.
La questione non è di poco conto ove si consideri che la conseguenza di un repêchage non esperito correttamente comporta l’accertamento della illegimità del licenziamento, con ogni inevitabile effetto in capo al datore di lavoro.
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte con la pronuncia n.12132/23, i giudici di merito hanno valutato che il tentativo datoriale di rinvenire altre mansioni è risultato incompleto, in quanto il datore di lavoro ha omesso di prendere in esame – ai fini della possibile ricollocazione del dipendente – alcune posizioni lavorative che, pur essendo effettivamente ricoperte alla data di svolgimento del repêchage, si sarebbero comunque rese disponibili in un breve lasso di tempo dall’intimazione del licenziamento con necessità, quindi, di procedere alla loro sostituzione.
Ebbene, i giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della decisione di merito, rimarcando la necessità che la valutazione circa la possibile ricollocazione del lavoratore da licenziare debba estendersi anche quelle posizioni che potrebbero rendersi disponibili imminentemente al recesso.
La decisione degli Ermellini risulta interessante in quanto, più volte, in ipotesi analoghe, al fine di verificare che la condotta datoriale sia improntata a buona fede ci si preoccupa di accertare quali e quante assunzioni si siano verificate a distanza di diversi mesi dal licenziamento allorquando – invero – potrebbero sorgere nuove esigenze che rendono necessaria l’imprevista ricerca di nuove risorse.
Di contro, la recente sentenza della Suprema Corte valorizza l’opportunità di cristallizzare la situazione al momento del licenziamento e di verificare le diverse posizioni lavorative che si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso.