30 Settembre 2011
Tra i provvedimenti della Manovra cd di Ferragosto (d.l. n. 138/11, conv. in l. n. 148/11) che hanno suscitato aspre polemiche ed accesi dibattiti nel mondo politico e sindacale vi è sicuramente quello relativo al godimento delle festività da parte dei lavoratori dipendenti.
Prima ancora che il decreto legge fosse varato dall’Esecutivo erano, infatti, trapelate notizie relative ad una presunta abolizione di tutte le festività civili che avevano scatenato le ire di sindacati e lavoratori.
In verità, il provvedimento licenziato dal Governo aveva prodotto effetti molto più limitati di quelli annunciati, limitandosi a prevedere che le festività civili introdotte con legge dello stato (sostanzialmente: 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno), nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni dovessero essere differite al venerdì immediatamente precedente, ovvero al lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva alla festività, allo scopo di ridurre il cd. “effetto ponte” generalmente legato alle predette festività e realizzare un incremento della produttività del lavoro.
Molti avevano, inoltre, disapprovato il fatto che si incidesse sulle festività civili e non sulle più numerose festività religiose, prendendo tale pretesto per rinnovare le critiche in ordine a presunti eccessivi favoritismi nei confronti della Chiesa cattolica nel nostro ordinamento.
In realtà, quello che molti hanno dimenticato è che per le festività religiose vige un regime del tutto particolare, dovuto alla circostanza che le stesse sono state introdotte nell’ordinamento italiano in virtù di appositi accordi con la Santa Sede (cfr. Accordo del 1984 e DPR n. 792/85), con la conseguenza che non sarebbe stato possibile incidere sulle leggi che hanno recepito i suddetti accordi attraverso un semplice atto avente forza di legge ordinaria (secondo alcuni, infatti, le predette leggi avrebbero copertura costituzionale, in quanto attuate ai sensi dell’art. 7 Cost.).
Nel mirino del legislatore era, invece, finita anche la festa del Santo Patrono, da differire – anche questa – al venerdì precedente o al lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva al giorno in cui cade la festività.
Tale ultima festività è stata, infatti, introdotta nel nostro ordinamento dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che sulla stessa avrebbe certamente potuto incidere il legislatore.
In particolare, il d.l. n. 138/11 – nella sua versione originaria – stabiliva testualmente che “A decorrere dall’anno 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri … da emanare entro il 30 novembre dell’anno precedente, sono stabilite annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguenti ad accordi con la Santa sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni in modo tale che, sulla base della più diffusa prassi europea, le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica”.
Per quanto sopra, si era in attesa dell’emanazione del suddetto DPCM per conoscere a quale data sarebbero state differite le festività del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno per l’anno 2012 e per ricevere ulteriori indicazioni in merito al differimento della festività del Santo Patrono.
Nelle more, la legge di conversione del predetto decreto ha, invece, inserito un inciso nella predetta disposizione che ne vanifica sostanzialmente la portata: il legislatore ha, infatti, escluso dall’ambito di applicazione del suddetto provvedimento, accanto alle festività derivanti da accordi con la Santa Sede, anche le festività “del 25 aprile, festa della liberazione, del 1° maggio, festa del lavoro e del 2 giugno, festa nazionale della Repubblica”, cosicché – allo stato – tutto è rimasto come prima ad eccezione che per la festa del Santo Patrono, per la quale (con esclusione del 29 giugno, Santi Pietro e Paolo, Patroni della città di Roma, la cui festa è stata prevista all’esito del Concordato) rimane ancora necessario attendere l’apposito decreto del Consiglio dei Ministri per avere ulteriori indicazioni in ordine alle modalità di differimento della predetta festività, nonché per le festività del 26 dicembre (Santo Stefano) e del lunedì dell’Angelo, istituite nel 1949 dallo Stato italiano per prolungare le feste di Natale e Pasqua e non riprese dalle leggi esecutive degli accordi con la Santa Sede (DPR n. 792/85).
Per le strutture sanitarie private cambierà ben poco, atteso che il trattamento economico/normativo da riservare ai lavoratori in occasione del giorno lavorativo (venerdì, lunedì o domenica) in cui la festività è differita sarà quello previsto dal ccnl (cfr. art. 29 ccnl personale non medico e art. 17 del ccnl per il personale medico), a seconda che gli stessi prestino o meno attività in quella giornata.
Infatti, ferma restando la spettanza della normale retribuzione, ai lavoratori che – per ragioni di servizio – saranno chiamati a prestare la propria opera nella predetta giornata spetterà un riposo compensativo, mentre in caso di coincidenza del giorno di differimento della festività con il giorno di riposo settimanale al dipendente spetterà un ulteriore giorno di riposo.