3 Dicembre 2021
La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 32473 dell’8 novembre u.s., si è pronunciata in merito alla possibile indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore durante la pausa caffè al di fuori dell’ufficio di adibizione.
In particolare, il caso sottoposto all’esame della Corte riguardava la richiesta di copertura della tutela INAIL da parte di una lavoratrice per l’infortunio verificatosi lungo il percorso per andare al bar a prendere un caffè.
In termini strettamente giuridici, la controversia riguardava l’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965, secondo cui “l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro”; secondo la difesa dell’INAIL, pertanto, la fattispecie non rientrava nel concetto di infortunio sul lavoro, in quanto si era in presenza di “un rischio assunto volontariamente dalla lavoratrice non potendo ravvisarsi nell’esigenza, pur apprezzabile, di prendere un caffè i caratteri del necessario bisogno fisiologico che avrebbero consentito di mantenere la stretta connessione con l’attività lavorativa”.
La Corte, condividendo la tesi dell’Istituto assicurativo, ha rappresentato che, secondo l’intento del legislatore, l’assicurazione infortuni non è finalizzata a coprire i rischi generici cui il lavoratore è esposto al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dallo svolgimento dell’attività lavorativa, né tantomeno mira ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l’integrità fisica o mentale.
L’indennizzabilità, quindi, non dovrebbe conseguire alla mera circostanza che l’infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece la sussistenza del nesso tra lavoro e rischio, configurabile nel caso in cui lo svolgimento dell’attività lavorativa implichi l’esposizione al rischio dell’assicurato.
In ragione di quanto sopra, la Cassazione rileva che il rischio non può essere mai scaturito da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, con ciò ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento.
Sulla base dei suddetti principi, la Suprema Corte, ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, posto che la dipendente, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa e il sinistro.
Infine, i Giudici hanno ritenuto del tutto irrilevante la tolleranza del datore di lavoro alle consuetudini dei dipendenti di organizzare la pausa caffè, non potendo una mera prassi, o, comunque, una qualsiasi forma di accordo tra le parti del rapporto di lavoro, ampliare l’area oggettiva di operatività della nozione di occasione di lavoro nei termini sopra indicati.