1 Aprile 2022
Con la sentenza n. 5814 del 22 febbraio scorso, la Cassazione dà interessanti spunti di riflessione sull’ipotesi che l’infarto subìto da un lavoratore mentre si trova in trasferta possa essere considerato un infortunio in itinere.
La Cassazione è stata chiamata a decidere se rientra nell’infortunio in itinere il decesso del lavoratore avvenuto durante un viaggio di lavoro, a seguito della cancellazione di un volo aereo (per maltempo) che aveva costretto il dipendente dapprima ad affrontare una lunga attesa in aeroporto, poi un pernottamento di fortuna e, infine, un viaggio in treno di oltre 700 km per partecipare a una riunione, con una veglia di quasi 24 ore consecutive.
I Giudici di legittimità, richiamando la disciplina applicabile al caso sottoposto al loro esame (ossia l’art. 12 del d.lgs. n. 38/2000 e l’art. 2, co. 3, del DPR n. 1124/1965), premettono che la tutela assicurativa è normativamente estesa a qualsiasi infortunio anche avvenuto lungo il percorso da casa al luogo di lavoro.
Infatti, la suddetta disciplina (come chiarito anche in precedenti pronunce della Cassazione n. 18659 del 2020 e Cass. n. 7313 del 2016) tutela il rischio generico, ossia quello del percorso, cui soggiace qualsiasi persona che lavori.
Invece, resta escluso dalla citata tutela il “rischio elettivo”, ossia quanto avvenuto per una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei e affronti volutamente, in base a scelte personali, una situazione diversa da quella tipica legata al cosiddetto “percorso normale” in modo da interrompere ogni nesso tra lavoro-rischio ed evento.
Alla luce di questa premessa, la Suprema Corte rileva che – ogni qual volta vi sia un rapporto finalistico tra ciò che viene definito “percorso normale” e l’attività lavorativa – occorrerà garantire la tutela antinfortunistica, con la conseguenza che anche quanto accaduto al lavoratore in viaggio (ossia la cancellazione del volo e gli eventi che ne sono susseguiti, con conseguente riduzione delle pause di riposo fisiologiche) rientri a pieno titolo nella nozione di infortunio in itinere.
Inoltre, i Giudici di legittimità, riformando la sentenza impugnata che aveva escluso l’infortunio in itinere, rilevano che nella fattispecie è configurabile (a differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’Appello) anche una “causa violenta”, come richiesto dalla normativa per l’applicazione della tutela assicurativa contro gli infortuni.
La Corte, infatti, da tempo riconosce che “in caso di infarto, il carattere violento della causa va individuato nella natura stessa dell’infarto, dove si ha una rottura dell’equilibrio dell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione temporale” (Cass. n. 13982 del 2000; Cass. n. 14085 del 2000).
L’infarto, dunque, secondo i Giudici di legittimità dovrà essere configurabile come infortunio sul lavoro quando è causalmente collegato a un fattore lavorativo.
Peraltro, tale connessione con l’attività lavorativa non è esclusa nel caso in cui siano presenti fattori preesistenti o contestuali, come potrebbe essere una sussistente condizione patologica del lavoratore, la quale – anzi – può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l’attività lavorativa e l’infortunio (Cass. n. 13928 del 2004; Cass. n. 13184 del 2003). In virtù di queste considerazioni – precisano i Giudici di legittimità – anche lo stress psicologico e ambientale (nel caso in questione riconducibile agli imprevisti del viaggio) integra la causa violenta che, in base alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, andrà ricondotta all’infortunio in itinere.