10 Gennaio 2023
Con ordinanza n. 29611 dell’11 ottobre 2022, la Corte di Cassazione ha stabilito che ai lavoratori dipendenti spetta l’indennità di malattia professionale anche nei casi di ansia e depressione dovuti al loro impiego.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla lavoratrice nei confronti dell’Inail avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva respinto la domanda della stessa dipendente tesa ad ottenere la condanna dell’Istituto ad erogare l’indennizzo per danno biologico da malattia professionale (in particolare, disturbo dell’adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con situazione lavorativa anamnesticamente avversativa).
Secondo la Corte d’Appello sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle di cui al D.M. 9 aprile 2008 (tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, formulate ai fini assicurativi).
Secondo la Cassazione, però, non può essere seguita tale ultima tesi.
Infatti, nel momento in cui la lavoratrice è stata ammessa a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge, non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del Testo Unico in materia di infortuni sul lavoro.
Pertanto, per le ragioni suesposte, la Suprema Corte ha cassato la pronuncia di merito.
Alla luce di quanto sopra, appare opportuno evidenziare che da quando è stato emanato il D.P.R. 1124/1965 (cd. “Testo Unico sull’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”), il complesso delle prestazioni erogate dall’Inail è stato oggetto di progressive modifiche, nel senso di una sempre più ampia tutela nei confronti del lavoratore.
Infatti, mentre l’art. 1, comma 1, del T.U. 1124/65 è quello che la giurisprudenza definisce come “rischio specifico proprio”, ovvero che attiene direttamente alle mansioni assegnate al lavoratore, l’evoluzione della tecnologia nelle aziende e delle tutele erogate a sostegno dei lavoratori ha comportato l’elaborazione nel tempo della categoria del c.d. rischio specifico improprio.
Più in particolare, è stato definito rischio specifico improprio, rientrante nella tutela infortunistica, quello che,sebbene non sia insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione.
In tale definizione rientra “l’uso improprio di macchine ed attrezzi […], e tutto ciò che, pur non inerente all’atto materiale del lavoro specifico, è accessorio e connesso con l’attività lavorativa, anche in modo indiretto”. (A. De Matteis, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 2011).
A tal riguardo, nell’ordinanza in oggetto, la Suprema Corte ha statuito che nei rapporti di lavoro non rileva soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, il quale, pur non attenendosi propriamente all’atto materiale dell’attività di lavoro, è – come sopra detto – direttamente collegato con la prestazione stessa ex art. 1 del T.U. in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. n. 5066/2018; Cass. n. 13882/2016; Cass. n. 27829/2009).
Per quanto sopra, la Cassazione conclude che “nell’ambito del sistema del T.U. in materia di infortuni sul lavoro, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l’art. 28, comma 1, T.U. 81/2008)”.
In altri termini, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
In ogni caso, il riconoscimento di una malattia professionale non implica, di per sé, una responsabilità risarcitoria in capo al datore di lavoro, atteso che – come chiarito esplicitamente dall’Inail con circolare n. 22/2020 – quest’ultima richiede un inadempimento effettivo dell’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c., e non semplicemente il nesso di occasionalità tra la patologia e il lavoro (nesso che, invece, è sufficiente per il sorgere della tutela assicurativa).