4 Giugno 2021
In materia di licenziamento orale ed onere della prova la Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 3822/2019, nel ribadire il principio in virtù del quale chi impugna un licenziamento, deducendo che sia stato realizzato senza il rispetto della forma scritta, ha l’onere di provare il fatto costitutivo della sua domanda, ha – altresì – sottolineato che la domanda del lavoratore deve essere respinta qualora lo stesso non assolva al proprio onere probatorio ed anche quando il datore di lavoro non sia riuscito, dal canto suo, a dimostrare le altre cause che hanno determinato la cessazione del rapporto.
Il carattere innovativo della suddetta pronunzia consiste, pertanto, nell’aver specificato che non si può pretendere un’inversione dell’onere della prova in capo al datore di lavoro circa l’esistenza di altre ragioni estintive quali, ad esempio, le tacite dimissioni.
Pertanto, in ossequio al principio sancito dall’art. 2697 c.c., per cui “chi vuole far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, è il lavoratore che assuma di essere stato licenziato verbalmente a dover fornire la prova di tale licenziamento e non già il datore di lavoro a dimostrare le dimissioni di quest’ultimo.
Con la recente sentenza del 1° aprile u.s., n. 9108, la Suprema Corte – esprimendosi relativamente ad una controversia nella quale un lavoratore assumeva la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con una società ed eccepiva la nullità/illegittimità del licenziamento intimato, a suo dire, in forma orale – ha inteso dare continuità al suddetto orientamento.
Segnatamente, nel caso esaminato, sia il giudice di primo grado, sia la Corte d’Appello adita, omessa ogni indagine sulla natura del rapporto inter partes, hanno ritenuto non allegate né dimostrate le circostanze atte a comprovare una estromissione del lavoratore dal contesto lavorativo respingendo, pertanto, la sua domanda.
I giudici di legittimità, con la recente pronunzia, hanno inoltre sottolineato come l’analisi dei giudici di merito debba essere particolarmente accurata, tenendo conto della circostanza che l’estromissione del lavoratore dal rapporto di lavoro non può essere ricondotta tout court alla constatazione della cessazione di fatto del rapporto, giacché in tal modo si introdurrebbe (in assenza, peraltro, di una specifica previsione di legge in tal senso) una sorta di esonero del lavoratore dall’onere di provare l’effettiva sussistenza di un licenziamento.
Né, hanno altresì sottolineato gli Ermellini (in continuità con l’interpretazione giurisprudenziale espressa con la citata sentenza n. 3822/2019), l’identificazione del fatto costitutivo della domanda del lavoratore può essere rimessa alle difese del convenuto datore di lavoro, sia perché quest’ultimo potrebbe restare contumace, sia per il rispetto del principio di cui all’art. 2697 c.c. il quale (come sopra rilevato) onera chi vuol far valere un diritto in giudizio dell’onere di provarne i fatti posti a fondamento.
In virtù del percorso argomentativo compiuto dalla Suprema Corte, dunque, è corretto respingere la domanda del lavoratore qualora lo stesso non assolva al proprio onere probatorio a prescindere dalle difese rassegnate (o meno) dal datore di lavoro.