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Licenziamento legittimo per chi pratica sport mettendo a rischio la propria salute

10 Aprile 2015

La vicenda in questione tre origine da una recente sentenza (n°144 del 9 gennaio 2015)  con cui la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità del licenziamento comminato ad un lavoratore per aver svolto, fuori dall’orario di servizio, una pratica sportiva del tutto incompatibile con le proprie condizioni fisiche.

In particolare, tale comportamento era stato ritenuto dall’azienda grave ed irrimediabilmente lesivo del rapporto fiduciario atteso che  proprio in ragione delle proprie condizioni di salute, il datore di lavoro aveva precedentemente assegnato al dipendente mansioni ridotte e diverse da quelle svolte esponendosi, peraltro, ad un grave pregiudizio produttivo ed organizzativo.
Invero già la Corte di Appello, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Torino, aveva validato il licenziamento suddetto ritenendo il comportamento del lavoratore gravemente lesivo dei doveri di correttezza, buona fede e fedeltà.
Di contro il dipendente aveva fondato la propria difesa prevalentemente sull’assunto per cui i suddetti obblighi non possono trasformarsi (peraltro per una sola delle parti del contratto) nel dovere di organizzare la propria vita in funzione della massimizzazione delle proprie capacità di rendimento lavorativo.

La suprema Corta (ed è questo l’aspetto interessante) con la pronuncia in commento, chiarisce proprio la natura, la portata ed i limiti degli obblighi in questione sostenendo, in particolare, che l’onere di fedeltà posto dalla legge in capo al lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 cc, dovendo essere integrato con quelli di correttezza e buona fede i quali devono informare non solo  i comportamenti lavorativi ma anche quelli extralavorativi tali da non danneggiare il datore di lavoro.
In altre parole, in tema di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati ma anche qualsiasi altra condotta contrastante con i doveri connessi al suo inserimento nell’organizzazione dell’impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro e potenzialmente produttiva di danno.

In tal senso, nel caso in esame, il dipendente – ben conscio delle precarie condizioni di salute in cui versava (le quali avevano peraltro comportato un riduzione delle proprie capacità lavorative) – avrebbe dovuto, proprio in virtù degli obblighi di correttezza e buona fede, astenersi dal compiere comportamenti atti a pregiudicare ulteriormente la propria salute e dunque la propria capacità lavorativa.
Diversamente il lavoratore, continuando a praticare – sebbene fuori dall’orario di servizio – una attività sportiva del tutto incompatibile con le proprie condizioni fisiche (peraltro all’insaputa del datore di lavoro) ha posto in essere un comportamento potenzialmente produttivo di un danno alla propria  idoneità lavorativa (peraltro già compromessa) e dunque contrario agli interessi dell’azienda presso cui presta servizio.
Tale comportamento, con la sentenza in commento, è stato ritenuto dalla Suprema Corte gravemente lesivo del rapporto fiduciario al punto da giustificare un il licenziamento comminato.

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