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Licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto

19 Maggio 2017

Alcune recenti pronunce hanno riportato alla ribalta la vexata quaestio del licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto.
Con sentenza n. 9395 del 12 aprile 2017, in particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che “nell’ipotesi di rapporto di lavoro con invalido assunto obbligatoriamente…, le assenze dovute a malattie collegate con lo stato di invalidità non possono essere computate nel periodo di comporto in quanto la impossibilità della prestazione deriva, in tale caso, dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di tutelare la integrità fisica del lavoratore, il quale, tuttavia, è gravato dall’onere di provare gli elementi oggettivi della fattispecie sulla quale si fonda la responsabilità contrattuale del datore”.
In sostanza, secondo quanto stabilito dai giudici di legittimità, ove la malattia sia stata cagionata dal datore di lavoro, che abbia adibito il disabile a mansioni non consone al suo stato di salute, le relative assenze non possono ritorcersi contro il lavoratore, il quale (altrimenti) subirebbe non solo un ingiusto aggravamento delle proprie condizioni fisiche, ma anche la perdita del posto di lavoro.
Tale pronuncia, si pone – in sostanza – nel solco della consolidata giurisprudenza della Suprema Corte che esclude, sulla base del medesimo principio, dal computo del periodo di comporto le assenze per infortunio sul lavoro, quando lo stesso sia stato cagionato da omissioni nell’adozione delle misure di sicurezza sul lavoro.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, “Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale – al pari delle assenze per malattie comuni – sono riconducibili, in linea di principio, all’ampia e generale nozione di infortunio o malattia (di cui all’art. 2110 del codice civile), e, come tali, sono parimenti computabili – in difetto di contraria (o, comunque, diversa) previsione della contrattazione collettiva – nel periodo di comporto….Coerentemente, la prospettata computabilità può essere esclusa – anche nel caso di assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale – soltanto se l’infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità del datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che lo stesso datore – in violazione dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 del codice civile) o di norme specifiche – abbia omesso di prevenire o eliminare” (ex plurimis, Cass. sent. n. 22248/04).
Meno condivisibili appaiono, invece, le pronunce che farebbero ricadere – sic et simpliciter – il recesso per superamento del periodo di comporto di un lavoratore disabile nell’alveo dei licenziamenti discriminatori.
In particolare, secondo il Tribunale di Milano (28 ottobre 2016, n. 2875/2016), la previsione di un periodo di comporto la cui quantificazione prescinda tout court dalla disabilità del lavoratore, configura un’ipotesi di “discriminazione indiretta” a norma del D.Lgs. n. 216/2003.
Secondo il giudice meneghino, infatti, alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria, “ai fini della irrogazione di un licenziamento, concepire per un soggetto disabile contraddistinto da una permanente grave patologia, il medesimo periodo di comporto previsto per un soggetto non afflitto da handicap, contrasta apertamente con i corollari del principio di parità di trattamento per cui situazioni diverse meritano un trattamento differenziato” (Trib. Milano, cit.), integrando così gli estremi di una discriminazione indiretta.
Di conseguenza, pur in assenza di esplicite disposizioni normative che impongano di riservare al lavoratore disabile un trattamento differente nel computo del periodo di comporto (e nonostante la normativa italiana sia sufficientemente tutelante della posizione dei lavoratori portatori di handicap), “in applicazione dell’art. 2 della direttiva comunitaria 2000/78/CE, nel caso di persone portatrici di un particolare handicap il datore di lavoro, al fine di evitare la discriminazione indiretta in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, va ritenuto obbligato ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’art. 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione (come sottrarre dal calcolo del comporto i giorni di malattia ascrivibili all’handicap o individuare un ulteriore giustificato motivo del licenziamento” (Trib. Milano, cit.).
Si tratta, tuttavia, di un onere (ulteriore) non facile da assolvere posto che, anche ove si volesse procedere nel senso prospettato dal giudice milanese, sarebbe impossibile per il datore di lavoro escludere dal computo del periodo comporto le malattie ascrivibili all’handicap, atteso che peraltro le certificazioni di malattia in suo possesso contengono solo la prognosi e non la diagnosi, con conseguente incapacità di verificare le cause alla base dell’evento morboso.
L’auspicio è, pertanto, che sulla materia faccia chiarezza il legislatore, così da fornire da un lato adeguata tutela ai lavoratori affetti da disabilità e, dall’altro, regole certe entro le quali consentire ai datori di lavoro il recesso da un rapporto lavorativo divenuto difficile da proseguire, a causa delle numerose assenze del prestatore (soprattutto ove tali assenze non siano imputabili a violazioni normative da parte del datore di lavoro).

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