10 Gennaio 2020
Spesso accade che il lavoratore non venga licenziato a seguito di una sola condotta disciplinarmente rilevante, ma in relazione a più comportamenti che vengono addebitati nell’ambito della medesima contestazione disciplinare.
Tale situazione presenta sovente difficoltà interpretative, soprattutto alla luce del novellato art. 18 Stat. Lav.
Ed invero, per l’ipotesi in cui alcuni dei comportamenti contestati non trovino conferma giudiziale, la sanzione espulsiva emessa potrebbe risultarne variamente inficiata.
Di tale questione si è recentemente occupata la Suprema Corte con sentenza n. 31529/19, decidendo un caso in cui un dipendente era stato licenziato in forza della contestazione di tre diverse mancanze, una delle quali – la minaccia di morte al datore di lavoro – particolarmente grave.
Nel corso del giudizio, tuttavia, quest’ultimo comportamento non trovava dimostrazione, di talché la Corte territoriale – pur confermando la sussistenza degli altri due addebiti – riteneva sproporzionato il recesso, in ragione dell’assenza di ripercussioni sull’andamento aziendale ed a fronte del contesto di elevata conflittualità in cui tali ulteriori comportamenti si inserivano.
Ne seguiva la declaratoria di risoluzione del rapporto e la condanna datoriale, in applicazione dell’art. 18, co. 5 Stat. Lav., al risarcimento del danno commisurato in 15 mensilità della retribuzione.
Per la Cassazione di tale pronuncia ricorreva il lavoratore, il quale – per quanto in questa sede interessa maggiormente – lamentava che la Corte d’Appello non avesse considerato che, venuto meno il più grave degli addebiti, i restanti due non erano in grado di giustificare il recesso, anche in considerazione della sussumibilità delle altre condotte contestate nell’ambito di mancanze dal ccnl punite con sole sanzioni conservative.
La Suprema Corte, tuttavia, rigetta il ricorso.
Gli Ermellini, infatti – dopo aver distinto l’ipotesi della contestazione di un’unica, articolata, condotta del lavoratore che sia solo in parte dimostrata in sede giudiziale, da quella dell’addebito disciplinare contenente una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti – afferma come, in quest’ultimo caso (non diversamente peraltro dall’altro), “la insussistenza del fatto si configuri solamente qualora – sul piano fattuale – possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, oppure, specularmente, …qualora si realizzi l’ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità”.
In buona sostanza, secondo i Supremi Giudici, ove il fatto – per come giudizialmente accertato, quindi anche in termini meno ampi di quelli di cui alla contestazione, per il venir meno di parte delle condotte addebitate – sussista, sia connotato di antigiuridicità e non sia punito dal ccnl solo con sanzioni conservative (come nel caso di specie), il recesso intimato non potrebbe mai essere considerato insussistente, con applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, co. 4, Stat. Lav., bensì solo sproporzionato, ricadendosi pertanto nell’ipotesi sanzionata con tutela indennitaria dall’art. 18, co. 5, Stat. Lav.
In ragione di quanto sopra, appare dunque estremamente importante per il datore di lavoro verificare con attenzione, sin all’atto della formulazione della contestazione disciplinare, la possibilità di dimostrare in giudizio la sussistenza di tutti i fatti che si intendono contestare, la loro sicura riconducibilità al lavoratore destinatario della medesima, come pure il trattamento sanzionatorio loro riservato dal ccnl.
Diversamente, l’eventuale impossibilità di dimostrare parte delle condotte addebitate, potrebbe determinare la sproporzione della sanzione comminata o, finanche, la reintegra del dipendente per insussistenza del fatto contestato.
Download Licenziamento con addebiti plurimi ed insussistenza del fatto contestato