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Licenziamento collettivo ed applicazione dei criteri di scelta ad una singola unità produttiva

8 Maggio 2015

Tale tematica – già affrontata nelle precedenti note del 30 maggio 2014 e del 15 luglio 2011 – risulta di rinnovato interesse in considerazione di una recente pronuncia della giurisprudenza di merito (Tribunale di Torino 5 marzo 2014 n. 523) emessa con specifico riferimento all’ambito sanitario, e precisamente in relazione ad una fattispecie di licenziamento collettivo intimato nei confronti degli addetti al laboratorio analisi di una casa di cura.

Ai sensi dell’art. 5, 1° comma, della legge n. 223/1991 «L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:
a) carichi di famiglia;
b) anzianità;
c) esigenze tecnico – produttive ed organizzative.».

In sostanza la citata norma statuisce che i criteri di scelta del personale eccedente possano essere individuati nell’ambito di accordi (stipulati con i sindacati maggiormente rappresentativi) tesi a regolamentare l’unilaterale potere organizzativo del datore di lavoro, ossia nell’ambito dei c.d. contratti collettivi gestionali (nozione elaborata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 268/1994 proprio in relazione a tale tipologia di accordi), operando i criteri legali indicati nella medesima norma solo in via sussidiaria.
Ciò posto il Tribunale di Torino con la citata recente pronuncia ha confermato l’orientamento più volte espresso dalla Suprema Corte (sebbene non sempre pienamente condiviso dalla giurisprudenza di merito: cfr. ex multis Corte d’Appello di Napoli n. 4822 del 12 luglio 2007 e Corte d’Appello di L’Aquila n. 197 del 24 marzo 2010) secondo cui «qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione» (Cass. nn. 2429/2012; 26376/2008; 13783/2006; 10590/2005; 13182/2003).

Fermo tale principio di carattere generale, la Corte di Cassazione ha, tuttavia, precisato che la delimitazione della platea dei lavoratori interessati dalla riduzione del personale non può dipendere sic et simpliciter da un’autonoma iniziativa datoriale, non adeguatamente motivata (poiché andrebbe a ledere quei criteri che la legge n. 223/1991 e la contrattazione collettiva appositamente sottraggono alla discrezionalità del datore di lavoro), ma di contro per considerarsi legittima deve rispondere ai seguenti principi:
– dipendere da ragioni produttive ed organizzative (specificamente riferite alla singola unità produttiva ovvero al singolo settore interessato alla ristrutturazione) enucleabili dalle indicazioni esplicative dei motivi dell’esubero espressamente contenute nella comunicazione preventiva inoltrata alle rappresentanze sindacali ai sensi dell’art. 4, 2° comma, delle legge n. 223/1991 (Cass. n. 9711/2011; 6626/2011);
– inoltre, le mansioni espletate dai lavoratori tra i quali operare la scelta (appartenenti ad una determinata unità produttiva) non devono essere fungibili rispetto a quelle svolte dagli «addetti ad altre realtà organizzative» (Cass. 25353/2009), giacchè «non sarebbe giustificato limitare l’ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori, nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti» (Cass. nn. 26376/2008; 11034/2006; 13783/2006);

tale ultimo profilo è di primaria rilevanza, atteso che talvolta non risulta essere di immediata ed inequivocabile interpretazione e/o applicazione pratica, laddove si tratti di profili professionali il cui carattere peculiare e distintivo non sia sempre decretabile in maniera univoca (si pensi, ad esempio, al personale addetto alle cucine, agli infermieri professionali ovvero ad alcune tipologie di impiegati amministrativi);
così, ad esempio, l’acquisizione di una qualifica specifica (aiuto cuoco) determina indubbiamente il conseguimento di una professionalità distinta da quella posseduta dagli altri ausiliari socio sanitari specializzati dipendenti dalla medesima struttura e, quindi, tale da legittimare l’applicazione della limitazione in argomento (cfr. Cass. n. 6626/2011);
di contro, l’acquisizione di fatto da parte del dipendente di molteplici professionalità, conseguente ad un pregresso e frequente svolgimento (peraltro, con risultati positivi) dell’attività anche in altri reparti dell’azienda, e ciò in virtù di disposizioni datoriali di mutamento di mansioni e/o di trasferimento da un reparto ad un altro, non consentirebbe di delimitare l’area dei lavoratori interessati dalla riduzione di personale (Cass. n. 13783/2006).

Per quanto sopra tale profilo dovrà essere sempre oggetto di scrupolosa valutazione anche in considerazione del fatto che la Suprema Corte ha precisato che l’onere probatorio in ordine a tutte le circostanze che hanno determinato l’oggettiva limitazione delle esigenze aziendali sottese al progetto di ristrutturazione (Cass. n. 14612/2006), pena l’inefficacia dei licenziamenti intimati.
Ebbene, sulla base dei suddetti principi giurisprudenziali, il Tribunale di Torino con la citata pronuncia, «in considerazione della professionalità specifica e dell’infungibilità dei dipendenti addetti al laboratorio analisi», ha ritenuto legittima la decisione datoriale di chiusura del laboratorio medesimo e conseguente licenziamento dei dipendenti ad esso adibiti.

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