11 Dicembre 2018
La Suprema Corte è tornata recentemente (Cass. n. 20876 del 21 agosto 2018) ad occuparsi di una questione piuttosto controversa, vale a dire quella relativa alla valenza di una procedura di licenziamento collettivo quale ragione giustificativa del recesso nei confronti di un dirigente.
Nel caso in esame, in verità, gli Ermellini avevano già cassato la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto sufficiente l’avvio della procedura di licenziamento collettivo, culminata nell’espulsione di molti dipendenti, a giustificare il recesso nei confronti del dirigente, sebbene quest’ultimo appartenesse a categoria esclusa dal campo di applicazione della L. 223/91 in tema di licenziamento collettivo.
Nella circostanza, infatti, la Suprema Corte – pur dando atto che “il licenziamento individuale del dirigente può fondarsi non solo sul venire meno del particolare rapporto di fiducia che lo caratterizza, ma anche su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa la continuazione, dato che il principio di buona fede e correttezza che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 della Costituzione” – rilevava tuttavia che, stante l’inapplicabilità al personale con qualifica dirigenziale della L. 223/91, la sola esistenza di una procedura di mobilità non poteva tout court costituire ragione idonea a giustificare il recesso nei confronti di un dirigente.
Ne seguiva il rinvio alla Corte d’Appello per un riesame del merito sotto tale aspetto. E tuttavia, la Corte territoriale nuovamente adita – ritenendo di correttamente interpretare l’indicazione data dai Supremi Giudici in sede di rinvio – giungeva a conclusioni opposte alle precedenti, affermando l’illegittimità del recesso sul presupposto dell’assoluta insufficienza della procedura di mobilità a giustificare il recesso intimato in danno del dirigente.
Nuovamente chiamata a pronunciarsi in merito, la Suprema Corte cassa anche la nuova sentenza, chiarendo una volta per tutte la necessità, ai fini del giudizio di giustificatezza del licenziamento, di sostituire ad una verifica meramente procedurale (relativa alla mera esistenza di una procedura di licenziamento collettivo) una verifica sostanziale in ordine alla sussistenza di ragioni che giustifichino il recesso, ovviamente nei (più limitati) termini a ciò necessari in ragione della categoria in esame.
In forza di quanto sopra, pertanto, è possibile sostenere che – sebbene l’esistenza di una procedura di mobilità non sia per sè sola sufficiente a giustificare il recesso nei confronti di un dirigente – tuttavia le ragioni oggettive ad essa sottese possono consentirne il licenziamento, senza che sia necessario che dette ragioni coincidano necessariamente con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da renderne particolarmente onerosa la continuazione.