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Licenziamento collettivo e criteri di scelta

30 Maggio 2014

La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha trattato con la pronuncia n. 2429 del 20 febbraio 2012 il tema del licenziamento collettivo per riduzione del personale, nel caso in cui la ristrutturazione aziendale sia riferita esclusivamente ad una unità produttiva o ad uno specifico settore aziendale.

La Corte d’Appello dell’ Aquila, andando a riformare la pronuncia di primo grado, aveva accolto il ricorso di un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta del personale da collocare in mobilità. Il datore di lavoro, infatti, aveva ricondotto le esigenze tecnico-produttive e organizzative, necessarie per iniziare la procedura di licenziamento collettivo, a quelle di una sola unità produttiva e non dell’ intera azienda. Tra gli altri motivi di gravame, peraltro, vi erano una mancanza di completezza dell’ informativa sulla procedura di licenziamento collettivo alle organizzazioni sindacali e una discriminatoria, a seconda dei diversi profili professionali, selezione del personale da licenziare.
La società, dichiarata soccombente nel giudizio di Appello, ha presentato ricorso presso la Corte di Cassazione. L’ azienda ha basato l’ impugnazione sulla sussistenza del nesso di casualità tra la decisione aziendale, l’ ambito di incidenza di tale decisione e il personale che in quell’ ambito si trovava ad operare. La società ha inoltre sostenuto di aver eseguito correttamente la procedura di mobilità con riferimento agli obblighi di informazione ai sindacati e alla qualificazione dei profili professionali dei lavoratori da licenziare.

All’ esito del giudizio, la Corte di Cassazione ha stabilito che “in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad uno specifico settore dell’ azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare in mobilità, non deve necessariamente interessare l’ intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’ imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale”.

Utilizzando l’ espressione “tecnico-produttive e organizzative”, il Legislatore ha voluto fornire di un criterio flessibile la norma, da concretizzarsi diversamente a seconda delle specifiche esigenze delle aziende. Tuttavia il principio affermato dalla Suprema Corte deve essere contemperato con quanto affermato dalla stessa nella pronuncia n. 9711 del 3.5.2011. Infatti, l’ iniziativa datoriale non deve essere “pura e semplice” poiché andrebbe a ledere quei criteri che la legge n. 223 del 1991, e la contrattazione collettiva, sottraggono appositamente alla discrezionalità del datore di lavoro. Secondo la Suprema Corte “e’ dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l’ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se cio’ non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale. La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilita’ e’ dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’articolo 4, comma 3 della legge n. 223 del 1991, quando cioe’ gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non puo’ essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta”. Ne consegue quindi che la scelta dell’ unità produttiva “e’ soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano”.

La Cassazione afferma inoltre, a titolo esemplificativo, come non sarebbe giustificata la mera identificazione del personale in esubero in unico reparto, oggetto di ristrutturazione aziendale, sempreché non ci siano altre esigenze tecnico-produttive, nel caso ci fossero altri lavoratori ricoprenti identiche mansioni in altri reparti.
L’ esigenza di limitare la procedura ad una singola unità produttiva è stata rilevata, ad esempio, da una impossibilità di reintegro di lavoratori cassaintegrati di quel settore aziendale. In altre occasioni, l’ esigenza è stata individuata nella produzione di macchinari non più richiesti dal mercato nell’ unità produttiva interessata dalla procedura (Cass. n. 13075 del 31.7.2012).  Queste necessità, secondo la Suprema Corte, possono realizzarsi nell’ ambito della singola unità produttiva, ovverosia tutte quelle articolazioni dell’ impresa munite di indipendenza tecnica e amministrativa, nelle quali si svolga l’ intero ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’ attività (cfr, tra le altre, Cass. 22.4.2010 n. 9558, Cass. 22.3.2005 n. 6117, Cass. 6.8.2003 n. 11833).

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