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Licenziabile il massofisioterapista senza titolo triennale

13 Dicembre 2013

A seguito della evoluzione normativa delle figure professionali operanti in ambito sanitario e delle conseguenti previsioni contenute nelle disposizioni regionali relative all’accreditamento istituzionale delle Strutture sanitarie private, sempre più spesso si pongono interrogativi in ordine alla utilizzabilità di taluni lavoratori, in possesso di titoli ormai risalenti nel tempo, se non addirittura sprovvisti di qualsiasi titolo abilitante.

È il caso, ad esempio, della figura del massofisioterapista, oggetto di un dibattito molto acceso a causa di ripetuti e non sempre coordinati interventi normativi, che hanno dato luogo ad un intricato complesso di norme, spesso poco chiare e di lettura incerta, sul quale si sono innestate svariate pronunce – invero talvolta tra loro contrastanti – soprattutto della giurisprudenza amministrativa.
Il tema è delicato ed investe la stessa possibilità di conservare il posto di lavoro da parte dei lavoratori non in possesso dei nuovi titoli richiesti per l’esercizio della professione.
Sul punto, si è espressa anche la Corte di Cassazione (Cass. 13239/2013) con una pronuncia nella quale – peraltro conformemente a quanto in merito deciso dalla Corte territoriale – ha confermato la legittimità del licenziamento intimato ad una dipendente per giustificato motivo oggettivo, determinato dal mancato possesso del titolo abilitante all’esercizio della professione di massofisioterapista.

Nel caso di specie, una Struttura sanitaria campana, operante in regime di accreditamento e convenzionata con la ASL, chiedeva ad una sua dipendente la produzione del titolo abilitante all’esercizio della professione. Quest’ultima – che da molti anni prestava la propria attività presso quel datore di lavoro – respingeva la richiesta ritenendola pretestuosa. Ne seguiva il licenziamento, motivato dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione, atteso che il titolo posseduto dalla lavoratrice, un diploma rilasciato all’esito di un corso biennale, non poteva più considerarsi validamente abilitante all’esercizio delle mansioni di massofisioterapista, dalla medesima fino a quel momento svolte.
La dipendente ricorreva al giudice del lavoro, che tuttavia rigettava il ricorso. Né miglior sorte toccava all’appello proposto dalla lavoratrice.

La Corte, infatti – all’esito di una ricostruzione storico-normativa della figura professionale in questione – respingeva gli assunti dell’appellante in ordine alla prospettata equipollenza automatica del titolo biennale posseduto con il diploma universitario previsto a seguito della riforma delle professioni sanitarie (l. 502/92 e ss.mm.ii.), evidenziando che il mancato possesso di un titolo rilasciato all’esito di un corso triennale determinava l’impossibilità sopravvenuta della prestazione che legittimamente aveva determinato il recesso della Struttura sanitaria.
Respingeva, la Corte, altresì ogni doglianza in ordine all’omesso tentativo di ricollocazione in altri ambiti lavorativi, affermando come l’organico della Struttura – in forza del convenzionamento con la ASL – fosse determinato da quest’ultima, che anno per anno stabiliva quantità e qualità delle prestazioni erogabili dalle Strutture accreditate, come pure le figure professionali che dovevano essere presenti, nonché la percentuale di personale dipendente ed autonomo.

La lavoratrice, pertanto, ricorreva per la cassazione di tale ultima sentenza.
La Suprema Corte, tuttavia, respinge ancora una volta il ricorso, confermando il licenziamento.
Ed invero, gli Ermellini – al di là degli ulteriori aspetti esaminati, non rilevanti ai fini che ci occupano – ricostruiscono nuovamente la vicenda storica della figura professionale in argomento, richiamando altresì la giurisprudenza amministrativa formatasi in ordine all’equipollenza dei titoli del pregresso ordinamento con quelli conseguenti all’introduzione del diploma universitario.
Più precisamente, la Corte sposa l’iter argomentativo utilizzato dal Consiglio di Stato nella sentenza 5225/07 – nella quale si pronunciava in ordine alla legittimità del D.M. 27 luglio 2000, che annovera tra i titoli equipollenti al diploma universitario di fisioterapista il diploma di massofisioterapista solo se conseguito all’esito di un corso triennale – affermando che va rigettata la tesi per cui tutti i titoli preesistenti devono essere riconosciuti come equipollenti ai diplomi universitari di nuova istituzione.
Tale equipollenza, infatti, può operare in via automatica solo se il relativo diploma sia stato conseguito all’esito di un corso già regolamentato a livello nazionale, vale a dire in presenza di moduli formativi la cui uniformità ed equivalenza fosse già riconosciuta nel regime previgente.

Nel caso dei massofisioterapisti, viceversa, la legge istitutiva di tale profilo professionale non dettava alcuna norma sul percorso formativo, che è stato diversamente regolamentato da Regione a Regione, con la conseguenza che i titoli in tal modo rilasciati non potevano fruire di alcun riconoscimento automatico in tema di equipollenza.
In tale stato di cose, pertanto, il DM 27.7.2000 non ha fatto altro che selezionare – nell’ambito dei vari percorsi formativi previsti nelle varie Regioni – quelli ritenuti in grado di assicurare all’operatore un livello adeguato allo svolgimento di una professione che oggi richiederebbe il conseguimento di un diploma di laurea triennale.
Chiarito, pertanto, che il titolo conseguito all’esito di un corso biennale non era più sufficiente ad abilitare la lavoratrice alle mansioni sino ad allora svolte, la Corte rileva che quest’ultima neppure aveva dedotto di essersi iscritta ad un corso per il conseguimento di un valido titolo abilitante, di talché l’impossibilità della prestazione non poteva considerarsi solo temporanea, ma definitiva, con ogni conseguenza – anche sotto tale aspetto – della legittimità dell’operato licenziamento.

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