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Lavorava altrove durante i giorni del congedo straordinario (per la figlia disabile): perché è stata licenziata

10 Febbraio 2023

L’art. 42, 5° comma, del d.lgs. n.151/2001 sancisce il diritto del lavoratore di usufruire di un periodo di congedo straordinario della durata massima di due anni (utilizzabile anche in maniera frazionata) per assistere un familiare gravemente disabile. Varie volte la giurisprudenza si è espressa sull’indebito utilizzo di tale strumento che, putroppo, in alcuni casi viene fruito al solo fine di soddisfare le esigenze personali del richiedente.

Di recente, la Corte di Cassazione ha sancito il principio per cui “è legittimo il licenziamento della dipendente che abbia lavorato in un negozio nel periodo di congedo straordinario concessole, ai sensi del d.lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5, per assistere la figlia portatrice di handicap in situazione di gravità. Le eventuali ammissioni contenute in una lettera di giustificazioni firmata dal solo difensore possono bene costituire elementi indiziari liberamente valutabili nel contesto di tutti gli altri dati probatori acquisiti” (Cass. sentenza n. 21773 dell’8 luglio 2022).

La vicenda trae spunto dal caso di una dipendente di una società che, a seguito di indagini di un’ agenzia investigativa, è stata sorpresa più volte a lavorare presso il negozio del marito durante il periodo di congedo straordinario richiesto per assistere la figlia disabile.

La Corte d’Appello, la cui pronunzia era stata impugnata dalla lavoratrice, aveva stabilito che “il mancato accudimento della figlia disabile e, quindi, l’abusiva fruizione del beneficio” costituissero circostanza manifesta alla luce dello svolgimento in misura assolutamente prevalente di un’attività incompatibile con l’assistenza che giustifica la fruizione del congedo.

La pronuncia non è affatto scontata atteso che, in passato, la stessa Corte di Cassazione, esprimendosi nel contenzioso relativo all’impugnativa di un licenziamento comminato ad un lavoratore per avere lavorato durante il congedo biennale di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000, aveva accertato l’illegittimità del licenziamento evidenziando la non gravità della mancanza commessa (cfr. Cass. sentenza n. 7021 del 25 marzo 2011 – vedi news del 14 ottobre 2011). 

In tale ultimo caso, tuttavia, dal momento che la tipologia di congedo utilizzato dal lavoratore non era retribuita e considerato, altresì, che l’attività lavorativa era stata prestata per un periodo di tempo limitato a quattro giorni in relazione ad un periodo di aspettativa di due mesi, gli Ermellini avevano ritenuto il licenziamento illegittimo perché, evidentemente, non proporzionato all’infrazione commessa.

Nella controversia più recente, invece, in ragione del fatto che il congedo in questione è indennizzato dall’INPS e che la lavoratrice era stata sorpresa a rendere la propria attività in più occasioni, per un considerevole lasso di tempo, e posto – infine – che la stessa dipendente aveva ammesso (nella lettera di giustificazioni alla contestazione mossale) di aver aiutato, nel periodo indicato, il proprio compagno seppure a titolo puramente gratuito, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto sussistere tutti gli elementi probatori utili ad accertare l’indebito utilizzo del congedo in questione e, di conseguenza, la legittimità del recesso dal rapporto di lavoro operato dalla società.

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