26 Marzo 2021
Dando seguito all’approfondimento già iniziato con news del 2 marzo, sulle conseguenze del rifiuto di vaccinarsi opposto dai lavoratori, si segnala la recentissima sentenza – la prima sull’argomento – del Tribunale di Belluno, chiamato a pronunciarsi su un ricorso d’urgenza promosso da 10 lavoratori di una RSA veneta, allontanati dal lavoro in conseguenza del loro rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid-19.
Nel caso di specie, i lavoratori – rivendicando il diritto, in assenza di un obbligo di legge sul punto, a determinarsi liberamente in ordine alla scelta di vaccinarsi, senza che tale scelta determini un pregiudizio nei loro confronti – si dolevano della collocazione in ferie d’ufficio da parte del datore di lavoro, provvedimento adottato in ragione del loro rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione.
Ebbene, il giudice respinge il ricorso d’urgenza, ritenendolo infondato non solo in ordine all’imminenza del pericolo – atteso il diritto del datore di lavoro di collocare in ferie i dipendenti nel periodo da lui stabilito e l’assenza di un rischio (attuale) di sospensione della retribuzione (e/o di licenziamento) – bensì anche (e principalmente) nel merito.
Ed invero, il giudicante parte dal generale e pervasivo obbligo di protezione posto in capo all’imprenditore dall’art. 2087 c.c., che gli impone l’adozione di tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità dei propri dipendenti.
Tra tali misure oggi si pone il vaccino anti-Covid, di cui – si legge nell’ordinanza in esame – “è ormai notoria l’efficacia”, atteso “il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui”.
In ragione di quanto sopra, scrive il giudice, essendo i ricorrenti impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al luogo di lavoro e, quindi, essendo essi a rischio contagio, la loro permanenza sul luogo di lavoro determinerebbe una violazione in capo al datore di lavoro dell’obbligo di protezione di cui all’art. 2087 c.c., con la conseguenza che il loro allontanamento dal servizio non solo è legittimo, ma finanche doveroso da parte del datore di lavoro.
Inutile evidenziare l’importanza della pronuncia in commento, non solo perché è la prima su un argomento di stringente attualità, ma anche e soprattutto perché entra nel merito della problematica, prendendo una posizione chiara e coerente con l’impianto normativo esistente, affermando il diritto/dovere del datore di lavoro – soggetto ad una generale (e quasi invincibile) responsabilità in ordine alla tutela dell’integrità del lavoratore – di adottare tutte le misure volte a rendere concreta tale tutela, finanche allontanando dal luogo di lavoro il dipendente che non possa (sia pure per sua libera scelta) essere sottratto al rischio.
A tal proposito, pertanto, appare irrilevante che il giudice non si sia pronunciato sulla legittimità di una sospensione non retribuita del rapporto, atteso che l’affermato principio rende del tutto inevitabile tale conseguenza, quantomeno nel momento in cui il lavoratore avrà terminato le ferie.
Come già osservato nella news richiamata all’inizio, non resterà che attendere per vedere se tale pronuncia costituirà l’inizio di un orientamento costante o se, viceversa, verrà disattesa da altri Tribunali.
Download Lavoratori no-vax- anche per i giudici è legittimo l’allontanamento dal lavoro