5 Maggio 2022
Il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile, con la recentissima ordinanza del 3 maggio 2022 si è pronunciato sulla vexata quaestio della ricollocazione del lavoratore che, per motivi di salute, sia stato validamente esonerato dall’obbligo di effettuare il vaccino contro il Covid-19.
A riguardo si rammenta che l’art. 4 del decreto legge 44/2021 e successive modificazioni stabilisce che, per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro “adibisce” il lavoratore esentato a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Si tratta evidentemente di una previsione normativa lacunosa in quanto non fa menzione del caso in cui il datore di lavoro non riesca a reperire mansioni alternative per i lavoratori esonerati dall’obbligo vaccinale.
La norma citata, infatti, si limita prevedere che il lavoratore sia “adibito” a mansioni differenti, quasi a voler introdurre un onere per il datore di lavoro, il quale – ad una interpretazione meramente letterale della norma – sembrerebbe tenuto a ricollocare in azienda il dipendente anche quando le sue dimensioni o la sua organizzazione non lo consentano.
Tuttavia, tale interpretazione letterale finirebbe inevitabilmente per porsi in contrasto con il principio di libera iniziativa economica, sancito dall’art. 41 della Costituzione, ponendo in capo al datore di lavoro un onere organizzativo ed economico non tollerabile.
Ebbene, il Tribunale di Reggio Calabria, con una pronuncia quasi unica sul tema, si è espresso a riguardo affrontando il caso di una operatrice sanitaria esonerata, a causa di una serie di patologie, dall’obbligo vaccinale e sospesa dalla struttura presso cui era adibita per impossibilità di reperire mansioni alternative da assegnarle.
In particolare, la struttura – svolgendo attività di riabilitazione in ambito socio-sanitario a favore di soggetti in condizioni di particolare fragilità – non è riuscita a rinvenire per la lavoratrice un’attività tale da evitare il rischio di diffusione del contagio da Covid-19, subendo così una vertenza da parte della dipendente che contestava il provvedimento di sospensione dal servizio senza retribuzione e proponeva di essere utilizzata, in alternativa, come “receptionist” e, comunque, di continuare a percepire regolarmente lo stipendio.
Il Giudice del Lavoro di Reggio Calabria, con un’attenta e approfondita disamina, pur riconoscendo che per i lavoratori dipendenti esenti dalla campagna vaccinale il favor legislativo è maggiore rispetto a quello per coloro che scelgono di non adempiere all’obbligo vaccinale,conclude – tuttavia – per il rigetto del ricorso promosso dalla lavoratrice, affermando che «…è opinione del giudicante che la creazione di una posizione lavorativa ad hoc per la lavoratrice esentata dal vaccino, alla luce dei canoni ermeneutici sopra evidenziati, costituisca per il datore di lavoro – che nella propria compagine organizzativa non reputi utile o necessario adibire in struttura un dipendente a mansioni esclusive di receptionist – un comportamento che travalica il limite dell’apprezzabile sacrificio, comportando per lo stesso l’imposizione di una figura professionale inesistente – evidentemente non reputata utile o necessaria per i servizi prestati – che comporta, altresì, un costo ulteriore, in termini retributivi e contributivi, da sopportare».
Sulla base di tali argomentazioni, quindi, il Tribunale ha respinto le rivendicazioni della lavoratrice non ritenendo neppure plausibile l’istanza relativa al riconoscimento della retribuzione in caso di sospensione dal servizio per impossibilità di ricollocamento, e ciò in quanto, a detta del giudice, una simile soluzione si porrebbe in contrasto con l’art. 23 della Costituzione che vieta le prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge (Cassazione Sezioni Unite n. 7755/1998 cit.).