13 Luglio 2012
Dal 18 luglio entra in vigore la legge n. 92/2012, denominata “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” (c.d. Riforma Fornero).
Iniziamo una serie di interventi (che proseguiranno nelle prossime settimane), volti ad esaminare le principali novità contenute nel suddetto testo di legge, le quali, tuttavia, essendo numerose e riguardando molti istituti del diritto del lavoro, saranno certamente oggetto di ulteriori approfondimenti, anche a seguito dei chiarimenti che senza dubbio perverranno da parte del Ministero del Lavoro e delle altre amministrazioni interessate.
Modifiche alla disciplina del contratto a termine.
Una delle novità di maggior rilievo per ciò che attiene la flessibilità in entrata nei rapporti di lavoro riguarda certamente i rapporti di lavoro a tempo determinato (nonché i contratti di somministrazione a tempo determinato), i quali, a decorrere dalla data di entrata in vigore della norma (15 giorni dopo la pubblicazione in G.U.) ove abbiano una durata inferiore a 12 mesi (e limitatamente al primo rapporto di lavoro), potranno essere stipulati anche senza alcuna ragione giustificatrice.
Tali rapporti di lavoro, tuttavia, non potranno essere prorogati e, pertanto, una volta scaduto il termine iniziale, ove sussistano reali ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo, sarà unicamente possibile stipulare un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato, nel rispetto dei periodi di attesa stabiliti dall’art. 5 d.lgs. 368/2001.
A tal proposito, si evidenzia che la riforma ha ampliato tali periodi di sospensione; a seguito dell’entrata in vigore della legge in questione, infatti, sarà possibile stipulare nuovi contratti a termine con i medesimi lavoratori solamente un volta che siano decorsi, rispetto alla cessazione dei precedenti, almeno 60 o 90 giorni (anziché 10 o 20), a seconda della durata (inferiore o superiore a 6 mesi) dell’ultimo rapporto di lavoro.
La riforma, inoltre, assegna alla contrattazione collettiva nuove possibilità laddove il datore di lavoro disponga di un processo organizzativo caratterizzato dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente.
In tali casi, infatti, è ammesso che i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata (e cioé su indicazione espressa da parte dei ccnl) ai livelli decentrati, deroghe sia ampliamenti della possibilità di stipulare contratti a termine acausali, sia la riduzione dei periodi di attesa sino a 20/30 giorni a seconda della durata del precedente rapporto di lavoro.
Vi è da chiedersi in che modo tale ulteriore facoltà assegnata alla contrattazione collettiva si coordini con le misure introdotte dall’art. 8 d.l. 138/2011 (Manovra di Ferragosto) a sostegno della contrattazione di prossimità.
Ai sensi della suddetta norma, infatti, la contrattazione aziendale stipulata con organizzazioni sindacali dotate di un sufficiente grado di rappresentatività può finanche derogare alla vigente normativa di legge in materia di somministrazione e di lavoro a tempo determinato, ove ciò sia finalizzato, ad esempio, ad incrementare l’occupazione o a gestire crisi occupazionali.
A parere dello scrivente, la riforma approvata dal Parlamento non inciderà su tale disciplina, essendo diverse le motivazioni che consentono le deroghe previste dalla contrattazione di prossimità rispetto a quelle contemplate dalla nuova normativa in materia di lavoro a termine; ad ogni modo, sarà opportuno attendere che siano forniti chiarimenti sul punto.
A decorrere dall’entrata in vigore della legge, inoltre, saranno ampliati anche i periodi in cui il rapporto di lavoro potrà proseguire oltre la scadenza del termine senza determinare la conversione del contratto; ciò, infatti, sarà possibile per trenta o cinquanta giorni a seconda della durata del rapporto (inferiore o superiore a sei mesi), in luogo degli attuali venti o trenta giorni.
L’esercizio di tale possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro (nonché la durata della prosecuzione stessa), tuttavia, dovrà essere comunicata ai competenti Servizi per l’impiego entro la scadenza del termine inizialmente fissato, secondo le modalità che dovranno essere stabilite da un decreto del Ministro del Lavoro.
La riforma, inoltre, è intervenuta in merito al computo dei 36 mesi di durata massima in caso di successione di rapporti di lavoro a termine, stabilendo che, ai fini del calcolo di tale periodo, debbano essere computati anche i periodi di somministrazione a tempo determinato svolti presso il medesimo datore di lavoro/utilizzatore per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
Il nuovo testo normativo approvato dal parlamento, inoltre, ha modificato i termini previsti dal Collegato Lavoro per l’impugnazione stragiudiziale della validità dei contratti di lavoro a tempo determinato, portando – per i contratti che cesseranno a partire dal 1° gennaio 2013 – il termine per l’impugnazione stragiudiziale dagli attuali 60 a 120 giorni, ed il termine per il deposito del ricorso da 270 giorni a 180 giorni.
Infine, si segnala che – a decorrere dal prossimo 1° gennaio 2013 – i rapporti di lavoro a tempo determinato diverranno più onerosi per i datori di lavoro, atteso che troverà applicazione nei confronti degli stessi un contributo addizionale pari all’1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Tale aggravio di costi non riguarderà le assunzioni a termine per motivi sostitutivi o per attività stagionali e non troverà altresì applicazione per i contratti di apprendistato.
La maggiore contribuzione versata per effetto di quanto sopra, inoltre (limitatamente alle ultime sei mensilità) sarà restituita ai datori di lavoro successivamente al decorso del periodo di prova, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato, ovvero in caso di assunzione a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.